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Janez Janša

SOLLEVATI E SOPRAVVISSUTI

(UN’ANALISI DEI PUNTI DI SVOLTA DELL’INDIPENDENZA E DELLA GUERRA PER LA SLOVENIA 1991)

30 ANNI DELL’INDIPENDENZA DELLA SLOVENIA

2021
Lubiana


Autore: Janez Janša
Casa editrice: Nova obzorja d.o.o.
Direttore: Jože Biščak
A cura di: Monika Maljevič

Montaggio tecnico e design: Ilija Plavevski
Editore: Metod Berlec
Foto di copertina: STA/Bor Slana
Fotografia: Joco Žnidaršič, Tone Stojko, Nace Bizilj/Conservato dal Museo di Storia Contemporanea della Slovenia; F.A. BOBO/Srdjan Živulovic, MAIS,  Peter Lemut, Matic Štojs Lomovšek, Libro Guerra per la Slovenia, Libro Bianco dell’Indipendenza Slovena, Urban Cerjak, Delo, Archivio di Demokracija
Tiratura: 1.000 copie
Lubiana 2021

Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o copiata in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza previa autorizzazione dell’autore e dell’editore.
CIP – Registrazione del catalogo della pubblicazione Biblioteca Nazionale e Universitaria, Lubiana
94(497.4) “1990/1991”
JANŠA, Janez, 1958-
Sollevati e sopravvissuti: (un’analisi degli eventi storici dell’indipendenza e della guerra per la Slovenia 1991) : 30 anni dell’indipendenza slovena / Janez Janša ; [STA/Bor Slana … et al.]. – Ljubljana : Nova obzorja, 2021
ISBN 978-961-6942-69-0


PREFAZIONE

Era mercoledì, il 26 giugno 1991 quando la Slovenia dichiarò la sua indipendenza (la Dichiarazione sull’indipendenza della Slovenia e la Carta costituzionale fondamentale sull’indipendenza e la sovranità della Repubblica di Slovenia furono adottate il giorno prima), diventando così effettivamente uno stato indipendente e sovrano. Quella stessa notte, l’Esercito Popolare Jugoslavo (l’EPJ) lanciò un’aggressione armata contro il giovane paese, che terminò ufficialmente con la sua sconfitta in dieci giorni. Questi giorni sono quelli che spiccano di più dal periodo dell’indipendenza della Slovenia, che può essere esteso dal 1987, quando fu pubblicato il famoso numero 57 della rivista Nova revija, intitolato “Contributi al programma nazionale sloveno”, fino al 1992, quando la Slovenia era stata riconosciuta dalla maggior parte dei paesi.

La nazione slovena è stata messa a dura prova molte volte nella storia, ma è sopravvissuta per secoli. L’amore per la patria, la nazione, la cultura, la tradizione, la fede e la famiglia l’hanno tenuta in vita in un ambiente talvolta molto ostile. Siamo persino sopravvissuti al comunismo, il peggiore e il più malvagio totalitarismo di tutti i tempi. Perché abbiamo avuto fede. Perché abbiamo imparato dai nostri antenati cosa significa essere Sloveni. Perché abbiamo il patriottismo nei nostri geni. Perché abbiamo sempre avuto la sensazione di essere speciali: laboriosi, operosi e pacifici. Nessuna minaccia ci ha mai scosso. Quando venne il momento, quando ci fu il pericolo serio di essere gettati nel calderone balcanico e cancellati per sempre dalla memoria europea, noi, timorati da Dio, ci cingemmo con le nostre spade e ci ribellammo al nemico jugoslavo. E vincemmo quella battaglia. È così che, trent’anni fa, abbiamo ottenuto il nostro paese in questa meravigliosa parte del mondo, dove i nostri nonni e le nostre nonne molto tempo fa misero le loro radici.

Questo libretto è pubblicato con uno scopo preciso. In una sola pubblicazione riunisce i tre testi essenziali per poter capire l’indipendenza e la guerra per la Slovenia. Sono stati scritti da Janez Janša, attore chiave di quel periodo – l’allora ministro della difesa e l’attuale primo ministro. Il primo testo è un’analisi degli eventi cruciali dell’indipendenza, pubblicato per la prima volta nel Libro Bianco. In esso, l’autore descrive in dettaglio il periodo tra il 1990 e il 1991, quando la Slovenia nelle sue aspirazioni indipendentiste era isolata a livello internazionale, e gli avvenimenti nella sfera politica interna, quando l’opposizione di sinistra di allora ostacolava Demos ad ogni passo e faceva a patti con il governo federale della Jugoslavia dell’allora. Tutti coloro che si opposero più o meno apertamente allo stato indipendente presero poi il potere e condivisero i meriti per il stato indipendente, mentre i principali attori indipendisti con false accuse e in processi montati furono perseguiti e mandati in prigione .

Il secondo testo è un’analisi della guerra per la Slovenia, pubblicato per la prima volta come prefazione al libro La guerra per la Slovenia. In esso, l’autore analizza il conflitto militare che, grazie all’unità della nazione, si è concluso con la sconfitta dell’aggressore EPJ. “L’unità della nazione, il coraggio delle sue forze armate, la forte volontà politica della coalizione di governo Demos, guidata dal dottor Jože Pučnik e l’autoiniziatività di una moltitudine di comandanti individuali delle unità tattiche della Difesa Territoriale e della Polizia hanno portato vittoria nella guerra per la Slovenia. Una vittoria che è stata elevata nella sua finalità all’Olimpo sloveno, una vittoria più importante di tutte le battaglie che i nostri antenati, purtroppo spesso per il contro altrui, hanno combattuto nei vortici della storia ingrata dei secoli passati”, scrive Janša.

Il terzo testo è la prefazione alla terza edizione del libro “Premiki” (I Movimenti), venduto in quasi 100 mila copie. Nel testo introduttivo Janez Janša condivide i suoi ricordi ed analizza gli eventi dal momento del suo arresto (1988) fino al riconoscimento internazionale del nuovo stato. La particolarità dell’introduzione e della terza edizione è che l’autore discute e rivela dei documenti, alcuni dei quali non erano ancora noti al tempo della prima edizione del libro (1992), ma che sono molto importanti per la comprensione dell’indipendenza slovena. Essendo un inestimabile testo testimoniale di un’epoca, il testo di Janša è stato conservato nella forma integrale in cui è stato pubblicato. Ai testi sono aggiunte fotografie e grafici, nonché il messaggio del primo ministro agli Sloveni in occasione della festa nazionale del 2020.

Dobbiamo far sapere ai nostri posteri come abbiamo costruito la nostra sovranità, come abbiamo provato amore per la nostra patria e quanto siamo stati grati per questo momento storico. Ma loro hanno anche bisogno di sapere chi si è opposto. Non per condannare o perseguitare qualcuno, semplicemente perché questi sono i fatti. L’odierna romanticizzazione della storia, che la Slovenia la sovranità l’ha raggiunta facilmente, è una distorsione dei fatti e serve a giustificare coloro che hanno sabotato tutto ciò che il governo Demos ha fatto nei momenti cruciali. È vero che la nazione era unita, ma la politica di transizione sinistra di allora stava facendo di tutto perché la Slovenia non avesse un proprio esercito, perché la Slovenia non ottenesse affatto la sua indipendenza, ma rimanesse nel calderone dei Balcani.

Così oggi, 30 anni dopo i giorni in cui ci siamo opposti all’aggressore e abbiamo proclamato il nostro stato, con preoccupazione osserviamo che anche i più giovani non sono più convinti che la Slovenia sia una buona cosa, che l’amore per la propria patria sia un requisito essenziale per la conservazione della nazione; pensano che sentire l’orgoglio di appartenere alla Slovenia sia arretrato. Se i media e la cultura pop in quegli anni hanno almeno apparentemente rafforzato l’idea nazionale, oggi il patriottismo non è più nel loro stile; piuttosto, sembra che seguano la tendenza moderna di seminare odio verso l’identità slovena e gli eventi dell’indipendenza.

I testi di Janez Janša che appaiono nel libretto Sollevati e sopravvissuti, sono scritti in modo leggibile e istruttivo. Sono basati su fatti e documenti, perciò dovrebbero definitivamente essere inclusi nel processo educativo.

Jože Biščak


Al plebiscito del 23 dicembre 1990, il popolo sloveno ha chiaramente e decisamente votato a favore di uno stato indipendente e sovrano, la Repubblica di Slovenia. Tuttavia, nei mesi successivi ha dovuto affrontare una forte contrarietà e ostacoli da una parte dell’élite politica interna post-comunista; così come i contestazioni e le minacce dalla federazione e dagli ufficiali dall’estero.


QUASI TUTTI CONTRO DI NOI

Nel 1990 e 1991, nelle sue aspirazioni e nei suoi sforzi per l’indipendenza la Slovenia era prevalentemente isolata a livello internazionale . Questo fatto negli ultimi due decenni è stato in qualche modo dimenticato, o almeno oscurato. L’analisi delle cause dimostrerà le ragioni per cui questo è accaduto.

Gli archivi dei media nazionali ed esteri sono pieni di registrazioni di dichiarazioni di rappresentanti statali e diplomatici dei paesi confinanti e non, che hanno espresso senza peli sulla lingua la loro avversione o la loro vera opposizione all’indipendenza slovena.

Il massimo che abbiamo potuto sentire a nostro favore è stata una frase che ammetteva che la Slovenia può naturalmente, diventare indipendente, ma solo accordandosi con le altre repubbliche e con la Federazione. Ovviamente, tutti coloro che dicevano questo sapevano molto bene che il consenso delle autorità federali, dell’EPJ e della maggior parte delle altre repubbliche non sarebbe arrivato.

Questa parte delle opposizioni, nonostante i tentativi di dimenticarle e offuscarle, è più o meno conosciuta e accuratamente documentata, ma purtroppo non sufficientemente analizzata e trattata nelle opere dei storici o dal punto di vista dello studio delle relazioni internazionali.

Il lancio di valutazioni negative all’estero

Meno nota, invece, è la fonte fondamentale delle relazioni e dei ragionamenti dei rappresentanti diplomatici e dei servizi segreti dei paesi stranieri. Oltre allo scetticismo dei loro governi e, in gran parte, allo scetticismo personale dei diplomatici stranieri che hanno seguito gli eventi del processo d’indipendenza da Slovenia e da paesi vicini, alle valutazioni negative hanno notevolmente contribuito anche i loro interlocutori sloveni. I rapporti dei servizi segreti e diplomatici e le trascrizioni delle conversazioni telefoniche tra i servizi interni ed esteri, pubblicati in questo volume, fanno luce proprio su questo aspetto. La prima osservazione scioccante nel leggerli è la constatazione che nulla è stato effettivamente nascosto agli stranieri, nemmeno i segreti di stato più alti. Persino le informazioni sul contenuto della proposta segretissima di legge costituzionale sull’indipendenza, sono state lette al telefon- a un diplomatico italiano da un membro della presidenza della Repubblica di Slovenia, Ciril Zlobec. La stessa sorte ha subito la data dell’indipendenza effettiva, accuratamente custodita, nota solo a poche persone nel paese. I membri dell’opposizione dell’epoca, specialmente la LDS e l’odierna SD, spiegavano ampiamente il loro scetticismo o addirittura la contestazione all’indipendenza ai diplomatici e agli agenti segreti stranieri. Alcuni, come il deputato LDS Franco Juri, ha poi pubblicamente manifestato la sua contrarietà boicottando l’annuncio della decisione sull’indipendenza, mentre altri, soprattutto persone del partito successore del PCS, dicevano una cosa al pubblico sloveno e un’altra a fonti straniere. Entrambi, tuttavia, avevano simili atteggiamenti negativi verso tutte le misure dell’indipendenza slovena, soprattutto quelle relative alla difesa, che furono profondamente ridicolizzate. Alcuni esempi di questo approccio si possono trovare nel Libro bianco sull’indipendenza slovena – oppugnazioni, ostacoli, tradimento, pubblicato nel 2013 dall’Associazione per i valori dell’indipendenza slovena.

L’informazione come grande vantaggio

Dal giuramento del governo Demos nel maggio 1990 fino al riconoscimento internazionale definitivo e all’ammissione all’ONU, le competenti istituzioni slovene hanno cercato di tenere traccia dei punti di vista dei paesi vicini, delle istituzioni internazionali e degli attori mondiali più influenti nei confronti della Slovenia e sulla sua lotta per l’indipendenza. I scarsi inizi della nostra diplomazia hanno reso il lavoro estremamente difficile e i risultati più importanti sono stati apportati dai nostri compatrioti dall’altra parte dei nostri confini e nel mondo. Con alcune onorevoli eccezioni, gli Sloveni che prestavano i loro servizi nella diplomazia jugoslava, non erano a favore dell’indipendenza, e da loro abbiamo ottenuto ancora meno informazioni utili che dagli Sloveni in alte posizioni nell’esercito popolare jugoslavo.

Le informazioni sui punti di vista dei fattori esterni ci sono quindi giunte principalmente come:

– posizioni pubblicamente annunciate da governi e organizzazioni internazionali,

– informazioni dai compatrioti all’altra parte delle nostre confini e da tutto il mondo,

– contatti dei rappresentanti dello stato sloveno con l’estero, specialmente con il personale diplomatico di altri paesi,

– rapporti dei servizi segreti domestici,

– i rapporti dei servizi stranieri ai quali la Slovenia ha avuto accesso attraverso il lavoro dei propri servizi o attraverso lo scambio di informazioni (principalmente con la Repubblica di Croazia).


La maggior parte degli ufficiali statali stranieri, fino all’ultimo, ha sostenuto la conservazione dell’unità della Jugoslavia (nella foto: il presidente del consiglio esecutivo federale della RFSJ Ante Marković, il ministro degli esteri jugoslavo Budimir Lončar e il segretario di Stato americano James Baker a Belgrado il 21 giugno 1991).

Nel settore della difesa, il servizio segreto ha iniziato ad formarsi solamente al momento della formazione della struttura di manovra della Difesa Nazionale e per la maggior parte di questo periodo contava meno di dieci professionalmente impiegati membri. Nonostante la scarsità del personale, questo servizio, attraverso la cooperazione dei singoli patrioti sloveni con posizioni prevalentemente inferiori nell’EPJ, ha raccolto informazioni strategicamente importanti che hanno permesso una pianificazione reale della resistenza all’aggressione e l’esecuzione tatticamente saggia del ritiro dell’EPJ dalla Slovenia. Attraverso queste fonti, abbiamo anche ottenuto accesso alle informazioni che i rappresentanti diplomatici stranieri hanno condiviso con i vertici dell’EPJ. Nella fase finale dell’indipendenza, specialmente dagli eventi a Pekre del maggio 1991 fino al ritiro dell’EPJ dalla Slovenia nell’ottobre dello stesso anno, il lavoro del servizio segreto militare fu rafforzato. Con l’occupazione di alcune strutture di comunicazione dell’EPJ e la confiscazione delle attrezzature all’inizio dell’aggressione, il Servizio di Intelligenza e Sicurezza del Ministero della Difesa (OVS) ha anche cominciato a intercettare le comunicazioni criptate dell’EPJ fino a Belgrado.

Il Servizio di Sicurezza e d’Informazione (VIS) del Ministero dell’Interno, dopo la sua riorganizzazione alla fine del 1990, attraverso le proprie fonti è penetrato anche in alcune fonti di sicurezza straniere importanti, e monitorando le comunicazioni dei servizi segreti e dei rappresentanti stranieri, è stato in grado di ottenere almeno una parziale visione diretta dei retroscena dell’ambiente esterno. Da questa fonte abbiamo ottenuto importanti informazioni di quanto l’aggressore, che aveva un eccellente accesso a fonti di paesi terzi attraverso la diplomazia jugoslava e i servizi segreti all’estero, era a conoscenza dei nostri piani e delle reali capacità della difesa slovena. Purtroppo, solamente una parte di questo servizio, che contava diverse centinaia di impiegati, era intimamente e professionalmente favorevole all’indipendenza. L’altra parte, più ampia, è rimasta passiva o addirittura contraria. Ed invece di occuparsi del pericolo immediato, si occupavano di tutto il resto. Così, al 25 giugno del 1991, quando fu annunciata la dichiarazione di guerra alla Slovenia, il governo dal VIS (Il Servizio della sicurezza ed informazione) ricevette una valutazione sulla situazione dell’esercito – ma quello rumeno. Un’impiegato del VIS che sorvegliava la caserma  a Vrhnika si era presumibilmente addormentato e non si era accorto che una colonna di carri armati aveva attraversato i cancelli della caserma avviandosi verso Lubiana.  Il motivo per cui il forte rumore della colonna di carri armati non si è sentito, era probabilmente noto solo al VIS.


Persino le informazioni sul contenuto della strettamente confidenziale proposta di legge costituzionale sull’indipendenza sono state liberamente lette al telefono a un diplomatico italiano da Ciril Zlobec, membro della presidenza della Repubblica di Slovenia.

Attraverso la pubblicazione di vari documenti di entrambi i servizi domestici in periodici che in varie edizioni di libri, il pubblico sloveno finora ha potuto apprendere molti dettagli dal dietro le quinte delle decisioni sui singoli aspetti dell’aggressione contro la Slovenia e l’atteggiamento dei rappresentanti di altri paesi verso di esso.

È insolito, però, che le precedenti pubblicazioni degli stessi documenti o di documenti simili, come il Libro bianco sull’indipendenza della Slovenia – oppugnazioni, ostacoli, tradimenti, non abbia suscitato un’interesse particolare da parte degli storici o di altri esperti, tanto più che oggi in Slovenia ci sono almeno cinque volte più esperti che al tempo dell’indipendenza.

La mancanza di interesse per alcuni fatti e la distorsione di altri

Tuttavia, anche se l’opposizione e l’ostruzione dell’indipendenza slovena dall’esterno e dall’interno negli ultimi due decenni ha ricevuto poco interesse e ancor meno trattamento accademico, molta più energia è stata investita nel persistente sminuire del significato dell’indipendenza. Molti eventi e dichiarazioni sono stati soppressi o distorti. Ed altri particolarmente evidenziati. La distorsione della verità faceva parte della vita quotidiana di post-indipendenza. Il precetto fondamentale era: tutto ciò che ha formato il sistema di valori della maggioranza del popolo sloveno durante il periodo dell’indipendenza e della democratizzazione, durante la primavera slovena, è stato relativizzato e alla fine nominato con il significativo opposto. Dal plebiscito del dicembre 1990, l’indipendenza è stata costantemente presentata come la causa generale di ogni sorta di problemi. A passare gli anni, gli slogan diventavano ogni anno più diretti e più eloquenti fino a quando, nel 2012, alle cosiddette rivolte popolari, abbiamo potuto vedere gli striscioni  con gli slogan: “Ci hanno rubato per 20 anni”, o “In 20 anni hanno rubato le nostre imprese e il nostro paese”, o “Basta con un’élite politica corrotta ventenne”. Come se avessimo vissuto in paradiso prima dell’indipendenza e come se in Slovenia non ci fosse stato un regime totalitario in cui il paese è stato completamente rubato al popolo; certamente molto più di oggi, indipendentemente da tutti i problemi attuali.

Si cerca di dipingere, dalla famosa lettera scritta da Kučan nella primavera del 1991 in poi, la resistenza al disarmo della Difesa Territoriale e la difesa dello stato sloveno come traffico d’armi, e la creazione degli attributi statali della Slovenia come l’affare “Izbrisani” (I Cancellati). Per questi due decenni la manipolazione è stata così intensa che le giovani generazioni, cresciute in questo periodo, hanno potuto dieci volte più facilmente apprendere il problema dei cosiddetti cancellati da tutti i possibili media pubblici, al contrario all’apprendimento di tutte le misure che hanno reso possibile la creazione dello stato sloveno. Dieci anni dopo la sua creazione, le prime bandiere con la stella rossa apparvero alle celebrazioni della Giornata Nazionale. All’inizio, timidamente, sapendo che rappresentano il simbolo di un esercito aggressore che era stato sconfitto nella guerra per la Slovenia. Poi sempre più aggressivamente, come se l’EPJ avesse vinto la guerra, e gli accenti più forti degli oratori sono stati messi sulla frase ormai obbligatoria, che senza il cosiddetto Movimento di Liberazione Nazionale (NOB) non ci sarebbe stata una Slovenia indipendente. Come se fosse nata nel 1945 e non nel 1991. Così, l’importanza dell’indipendenza fu cancellata, o almeno diminuita quando i tentativi di cancellarla non ebbero successo. Quando i governi della sinistra di transizione erano al potere, i programmi delle celebrazioni statali in occasione delle due maggiori feste nazionali slovene, il Giorno Nazionale e il Giorno dell’Indipendenza e dell’Unità, erano nel migliore dei casi eventi vuoti, non collegati allo scopo delle feste nazionali, e nel peggiore, pieni di aperta presa in giro della Slovenia e dei valori che ci univano in una comune impresa di indipendenza riuscita.

D’altra parte, quasi nessuna settimana dell’anno è passata senza pompose e costose celebrazioni organizzate dall’ Associazione delle Associazioni dei Combattenti per i Valori della Lotta di Liberazione Nazionale della Slovenia  (ZZB), piene di discorsi di odio e minacce verso a coloro con pensano diversamente, piene di simboli totalitari, ed offesi sotto forma di insulti dei simboli ufficiali statali e di trasporto ed esposizione illegale di armi militari. I partecipanti a questi eventi di massa erano per lo più membri pagati dello ZZB, dato che circa 20.000 di loro ancora oggi ricevono ogni mese indennità privilegiate per i combattenti del NOB, anche se molti nati dopo il 1945. I privilegi che in alcuni casi, come se viviamo ancora in un principato feudale, si trasmettono ai propri discendenti. Questi baccanali nello stile dei comizi della più intensa campagna di Milošević un quarto di secolo fa sono stati coronati dal comizio dello ZZB del 24 dicembre 2012 a Tisje, dove il segretario generale dell’organizzazione dei veterani Mitja Klavora, nato un decennio dopo la seconda guerra mondiale, ci ha nuovamente minacciato con gli uccisioni di massa.

Già pochi anni dopo l’indipendenza, è stato necessario restituire le decorazioni onorarie e spiegare che, per legge, il Presidente della Repubblica non ha l’autorizzazione di conferire l’Ordine della Libertà a persone che non avevano nulla a che fare con l’indipendenza o che si erano addirittura attivamente opposte ad essa . Dopo dieci anni hanno iniziato deliberatamente a creare confusione con i simboli statali. Nel quindicesimo anniversario dell’indipendenza, hanno iniziato una polemica sulla formazione dell’esercito sloveno e sulla sua età, e nel ventesimo anniversario, l’allora presidente della Repubblica ha addirittura tuonato contro i cosiddetti combattenti per l’indipendenza, dicendo che questa “meritocrazia” e questo ingombro transitorio dovevano essere eliminati una volta per tutte. Per fortuna, la maggioranza degli elettori, grazie a Dio, nell’autunno del 2012 l’hanno eliminato loro. Il tocco finale del svergognamento dell’indipendenza e soprattutto dell’esercito sloveno è stato poco prima del 22 anniversario, con la nomina dell’ultimo ministro della difesa.

I cosiddetti “zii dal retro” hanno messo a questa carica una persona che nel 1991, non solo indirettamente, ma attivamente, attraverso l’azione politica e i suoi voti, si è opposta a tutte le misure prese per difendere la Slovenia dall’aggressione dell’esercito jugoslavo. “Non sono un membro dell’LDS, ma condivido gli stessi pensieri e punti di vista di Roman Jakič”, ha detto il colonnello dell’EPJ Milan Aksentijević nell’Assemblea, dopo che i due insieme hanno ostacolato i preparativi di difesa in un momento estremamente critico. Nel secondo capitolo di questo compendio, troverete molti esempi concreti di ostruzione delle misure di indipendenza che portano la firma di Roman Jakič e dei suoi soci dell’opposizione di sinistra. Se alcuni dei loro emendamenti alla legislazione chiave della difesa fossero stati adottati, la Slovenia non sarebbe stata in grado di difendersi con successo dall’aggressione della JNA nel giugno 1991.


All’epoca dell’indipendenza, l’opposizione si oppose spesso con veemenza agli sforzi per l’indipendenza slovena (nella foto: i deputati LDS Gregor Golobič, Zoran Thaler e Jožef Školč).

Invece dell’operetta, una vera potenza militare

Questo era anche lo scopo fondamentale, distruggere tutti gli sforzi della Slovenia per costruire un sistema di difesa efficace, che sarebbe stato in grado di rispondere al previsto, anzi determinato tentativo di Belgrado di impedirci con la forza di andare per la nostra strada. Questo è dimostrato in decine di documenti pubblicati nel Libro bianco sull’indipendenza della Slovenia. Dall’assistenza della politica comunista slovena all’EPJ nel disarmo della Difesa Territoriale, che il dottor Jože Pučnik e Ivan Oman hanno giustamente descritto come un’alto tradimento della Slovenia, attraverso la cosiddetta Dichiarazione per la pace, che chiedeva un rapido disarmo unilaterale della Slovenia, fino ai contatti dietro le quinte con i generali dell’EPJ e i politici di Belgrado, su cui ogni tanto veniamo a conoscenza quando viene aperto qualche archivio di Belgrado o uno dei partecipanti dalla parte opposta scrive un libro di memorie. Solo dopo alcuni anni, quando i politici di sinistra fecero del loro meglio per fornire al generale aggressore Konrad Kolšek un passaporto sloveno, si è capito perché la dichiarazione formale di guerra con un ultimatum inviato alla Slovenia dal generale Kolšek la mattina del 27 giugno 1991, sui volantini sparsi dagli aerei dell’EPJ, non è stata indirizzata al comandante supremo e presidente della presidenza Milan Kučan, ma al primo ministro Lojze Peterle, che secondo la costituzione di allora non aveva praticamente nessun potere nel campo della difesa. A causa di precedenti contatti e accordi, Kolšek e altri aggressori apparentemente consideravano Milan Kučan come uno di quelli su cui potevano contare nel periodo dopo “l’operetta dell’indipendenza”, quando il governo Demos si sarebbe disintegrato per effetto di una leadership rotta e sarebbe finito nei tribunali militari o davanti al plotone d’esecuzione.


Nel Partito del Rinnovamento Democratico, guidato da Ciril Ribičič, che era il successore della Lega Comunista Slovena, avevano molti pregiudizi sull’indipendenza della Slovenia.

A causa dell’alto sostegno dell’indipendenza al plebiscito e dell’umore positivo generale dell’opinione pubblica slovena verso l’indipendenza  – compresa una parte dei membri  membri dei partiti di sinistra, gli oppositori dell’indipendenza generalmente non si opposero apertamente all’essa, ma piuttosto applicarono tattiche indirette, che si riflettevano negli slogan che divennero popolari nella primavera del 1991, per esempio “Indipendenza sì, ma in modo pacifico”, oppure “Indipendenza sì, ma senza esercito”, oppure, “La volontà del popolo espressa nel plebiscito deve essere realizzata, ma solo attraverso trattative e accordi”, oppure: “Gli Sloveni al plebiscito non hanno votato per la guerra!”, oppure: “La proclamazione dell’indipendenza della Slovenia deve andare di pari passo con l’inizio immediato delle trattative con le altre repubbliche per una nuova connessione confederale”.

Naturalmente, non si trattava solo di slogan. Nei mesi primaverili del 1991, ci furono una serie di incontri tra i partiti di sinistra sloveni, soprattutto tra il successore del PCS e il precursore dell’attuale SD e gli ex partiti comunisti delle altre repubbliche dell’allora RSFJ. Uno di questi incontri tra Ciril Ribičič e i loro compagni, i comunisti bosniaci e croati a Otočec, fu accompagnato con grandi titoli nei giornali in tutta l’ex Jugoslavia, che chiedevano una nuova integrazione jugoslava.

Il calcolo degli oppositori dell’indipendenza slovena, interni ed esteri, si basava sull’aspettativa dell’effetto “testa rotta”. Contavano sul fatto che una Slovenia indipendente sarebbe stata euforicamente proclamata, ma non realizzata. (“Oggi è permesso sognare, domani è un nuovo giorno!”) Credevano e cercavano di contribuirvi il più possibile nella convinzione che le forze di difesa slovene non sarebbero state in grado di occupare i valichi di confine e i punti chiave delle infrastrutture del paese e di limitare la manovra dell’EPJ, e che, dopo pochi giorni, tutto si sarebbe rivelato come un episodio di operetta, dopo il quale sarebbe stato chiaro a tutti nel paese che siamo isolati dall’Occidente, che non controlliamo il nostro territorio e che nessuno ci avrebbe aiutato, che nessuno ci avrebbe riconosciuto, e che stavamo sbattendo la testa contro un muro di cemento.

Dopo un tale risultato, ci si aspettava la disintegrazione della coalizione Demos e la caduta del governo, seguita da una piena presa di potere. Sicuramente si aspettava anche la fine definitiva del sogno di una Slovenia indipendente. E loro, come salvatori degli Sloveni dai pericolosi avventurieri di Demos. O, come ha detto il presidente dell’allora LDS, “Per una Slovenia indipendente è meglio negoziare per cent’anni che combattere per un giorno”. Queste aspettative sono letteralmente confermate dalle memorie dell’allora primo ministro del governo federale Ante Marković, pubblicate anche nella seguente sezione del presente almanacco, relative all’incontro tra lui e l’opposizione di sinistra slovena poco prima della guerra, il 12 giugno 1991:

“Il colloquio di Marković con l’opposizione ha portato la valutazione comune che le contraddizioni nel Demos al potere erano così grandi che solo il 26 giugno lo teneva insieme. Se il 26 giugno non succede, nulla possa rafforzare i legami ceduti di Demos, ci sono poche speranze per il governo. Concretamente: se dopo il 26 giugno inizia un processo che corre simultaneamente in entrambe le direzioni verso l’indipendenza e verso la reintegrazione, il governo Demos cadrà in estate, o al massimo in settembre”.

Dopo un incontro con l’opposizione di sinistra slovena, Marković ha convinto il presidente croato Franjo Tuđman della probabilità di un tale svolto in Slovenia. Quest’ultimo continuò per anni a parlare di una guerra da operetta in Slovenia, coprendo  la sua cattiva coscienza per aver creduto a Marković e quindi, il 27 giugno 1991, non mantenendo la sua promessa e l’accordo firmato il 27 giugno 1991 sulla resistenza comune dei due paesi in caso di aggressione da parte dell’EPJ. L’indipendenza da operetta è stata effettivamente realizzata dalla Croazia nel giugno 1991, dichiarando l’indipendenza senza prendere il potere effettivo. Il prezzo che la Croazia ha pagato in sangue per l’ingenuità di Tuđman è stato enorme.

Io stesso sono stato testimone di diverse previsioni apertamente rivelate e insinuazioni da parte di politici sloveni di sinistra, per non parlare dei diplomatici stranieri. Alcuni dell’allora presidenza della Repubblica, il vice primo ministro e il suo ministro delle finanze, che si dimise pochi mesi prima della guerra, e molti altri cittadini “rispettabili” erano della stessa opinione. Ho incontrato uno di loro, che poi ha fatto una brillante carriera nella Slovenia indipendente, poco prima della guerra in Piazza del Congresso.

Mi disse in tono un po’ sprezzante: “Per uno stato indipendente non serve una visione, ma delle divisioni”. Non gli ho spiegato che avevamo anche quelle, perché non mi avrebbe creduto comunque.

Secondo la narrazione e le molteplici esibizioni registrate pubblicamente dell’ex membro della presidenza della Repubblica di Slovenia, Ivan Oman, che era l’unico della presidenza a sostenere coerentemente i preparativi per la difesa contro l’aggressione, il dottor Jože Pučnik – in una delle tante pause durante le trattative per la legge sul plebiscito nel novembre 1990 – ha chiesto all’alto rappresentante dell’odierno SD perché complicano eccessivamente e perchè sono sostanzialmente opposti a tutte le proposte di indipendenza. Gli ha risposto che deve capire che loro e la loro opzione politica nell’indipendenza comunque non vedevano un futuro per loro.

La politica di sinistra slovena dopo la vittoria del Demos alle elezioni dell’aprile 1990, nonostante gli occasionali inganni pubblici, nelle sue più alte sfere ha sempre lavorato contro la creazione delle capacità reali per l’indipendenza. Le loro azioni più importanti fino al 26 giugno sono state:

1. Il disarmo della Difesa Territoriale nel maggio 1990, dove con tutti i mezzi possibili hanno aiutato l’EPJ. Questo è discusso nel primo capitolo di questo compendio.

2. La cosiddetta Dichiarazione di pace del febbraio 1991, che chiedeva direttamente il rapido disarmo unilaterale di una “Slovenia appena armata”.

3. Il consistente votare nell’Assemblea contro le misure per assicurare l’indipendenza (la Legge sulla difesa, la Legge sul dovere militare, il Bilancio della difesa). Tutti gli atti elencati sono stati approvati a malapena con pochi voti della maggioranza Demos. Questo è discusso nel secondo capitolo di questo almanacco.

4. Informare i servizi segreti e i diplomatici  stranieri dei più alti segreti di stato contenuti nei piani operativi per l’indipendenza (tempi esatti, elenco delle funzioni della federazione che la Slovenia intende effettivamente assumere).

La petizione per le dimissioni del procuratore generale Anton Drobnič, sotto la guida di Milan Kučan e Spomenka Hribar (che me l’ha offerta per firmare proprio nel suo ufficio presidenziale), inviata al pubblico pochi giorni prima della dichiarazione di indipendenza della Slovenia.  Con questo volevano ulteriormente nuocere a Demos poco prima della guerra, poiché la petizione era firmata da alcuni politici di spicco della SDZ e dai Verdi di Slovenia.

6. Annuncio di uno sciopero del sindacato di Polizia per il 27 giugno 1991.


In alcuni giornali sloveni, autori vari apertamente si opponevano  all’indipendenza slovena (nella foto un articolo di Mladina, 21 maggio 1991).

Il 25 giugno 1991, la Slovenia ha effettivamente assunto la maggior parte delle competenze precedentemente federali (frontiera, dogana, politica monetaria, controllo dello spazio aereo, operazione e sorveglianza di cambio) e il 26 giugno, con il sostegno e la gioia popolare generale, ha dichiarato la sua indipendenza. Lo stesso giorno e il giorno seguente, ha resistito con successo alla prima ondata di aggressioni, perciò alcuni politici di sinistra sono stati colti da dubbi sul successo delle loro aspettative per una “dichiarazione di indipendenza da operetta”. Ciononostante, i loro capi hanno fatto ogni sforzo per estrarre anche da una tale situazione meschini vantaggi politici egoistici .

Piero Fassino, ex ministro in diversi governi di sinistra italiani (Giustizia, Commercio Estero, Vice Ministro degli Esteri) e alto rappresentante dell’Internazionale Socialista, ha pubblicato un libro intitolato Per passione (Milano, 2003), in cui a pagina 292 descrive come il 27. giugno 1991 ha visitato Milan Kučan e Ciril Ribičič e come in questa occasione ambedue lo hanno sollecitando che “la sinistra italiana ed europea non regalasse alla destra l’indipendenza delle ex repubbliche jugoslave”. Nei mesi successivi a questa visita, è stato proprio il ministro degli esteri italiano, il socialista Gianni de Michelis quel politico europeo che ha fatto le osservazioni più aspre sulla statualità slovena. Solo all’ultimo minuto ha accettato il riconoscimento europeo della Slovenia. Anche quando il presidente italiano Francesco Cossi al 17 gennaio 1992 ha visitato la Slovenia, dopo che l’Unione Europea l’aveva già riconosciuta, De Michelis per questo l’ha attaccato duramente. Ciononostante,  solo poco tempo dopo, Milan Kučan gli ha conferito la Medaglia della Libertà. Sapeva molto bene perché.


Jaša Zlobec e Franco Juri (nella foto con Ciril Ribičič e Lev Kreft), i più estremi oppositori dell’Assemblea a tutte le misure necessarie pel l’’indipendenza, che poi hanno diventato ambasciatori del paese che avevano avversato alla sua nascita.

Agli oppositori dell’indipendenza slovena non è andata come previsto. La Slovenia non ha rotto la testa. Si sono schiantati contro il muro della determinazione slovena e dei seri preparativi di difesa, l’EPJ e tutti coloro che, come nel caso del processo JBTZ o durante il disarmo della Difesa Territoriale slovena, avevano contato su questo, che farà il lavoro sporco per loro.

La vendetta di coloro a cui è stato rubato lo stato della RSFJ

Il risentimento era grave. Individui influenti, invece di ammettere onestamente di aver commesso un errore (perchè comunque nessuno li ha perseguiti per atti che erano al limite del tradimento o ben oltre), o almeno di rimanere in silenzio, subito dopo la guerra e prima ancora del riconoscimento internazionale, iniziarono a lanciare campagne  propagandistiche contro gli attori principali dell’indipendenza, e ad abbattere singoli membri del Demos e poi, il governo.

D’altra parte, gli individui che si sono esposti maggiormente con le loro attività contro l’indipendenza o contro le misure per garantirla, indipendentemente dalle loro qualità professionali e personali, sono stati rapidamente promossi. Leggendo i riassunti delle opposizioni, degli ostruzionismi e del generale comportamento scorretto nel Parlamento sloveno al momento di prendere le decisioni chiave per l’indipendenza, o i documenti e le registrazioni del quarto capitolo sulla formazione di un patto con l’aggressore a livello locale e nella politica in generale, praticamente non incontriamo un solo nome che sia stato esposto, in un modo o nell’altro, alla critica pubblica o addirittura alla condanna per azioni che la storia ha indiscutibilmente confermato come sbagliate e persino dannose.

Jožef Školč, il presidente dell’LDS di allora, è diventato il ministro della cultura e persino presidente dell’Assemblea nazionale; Ciril Zlobec, membro della presidenza della Repubblica di Slovenia, che ha rivelato ai servizi stranieri il più importante segreto di stato, è rimasto il membro della presidenza fino alla fine del suo mandato ed è diventato persino il vicepresidente dell’Accademia slovena delle scienze e delle arti; Ciril Ribičič, che ha incintato i politici stranieri contro il riconoscimento internazionale della Slovenia, è diventato un giudice della Corte costituzionale e persino un membro della Commissione internazionale del diritto di Venezia. Rado Bohinc, membro della presidenza dell’Unione socialdemocratica di Marković, è diventato il ministro della scienza, poi il ministro dell’interno, e più tardi rettore dell’Università di Primorska. Franco Juri e Jaša Zlobec, i più estremi oppositori nell’Assemblea a tutte le misure necessarie per l’indipendenza, sono diventati ambasciatori del paese che avevano osteggiato alla sua nascita. Il loro ardente compagno nell’ostacolare l’indipendenza, Roman Jakič, è diventato addirittura ministro della difesa. Aurelio Juri è diventato membro del Parlamento europeo e Sergej Peljhan è diventato ministro della cultura. Jože Mencinger, che aveva abbandonato il governo pochi mesi prima della guerra perché non credeva nell’indipendenza, è diventato rettore dell’Università di Lubiana e proprietario dell’Istituto Bajt. Marko Kranjec, che si è unito a lui nel suo abbandonamento, è diventato prima ambasciatore e poi governatore della Banca di Slovenia. La lista è troppo lunga per elencarli tutti. Anche i giornalisti e i redattori che seminavano dubbi o esprimevano una chiara opposizione durante il periodo dell’indipendenza sono stati rapidamente promossi. Carriere altrettanto scintillanti attendevano coloro che nel mondo accademico si opposero attivamente al plebiscito per una Slovenia indipendente e, più tardi, all’indipendenza stessa. Il modello è stato portato anche nell’economia. Nella prima ondata della privatizzazione, la maggior parte delle aziende sono state “privatizzate” da individui che, solo due anni prima, hanno dubitato delle prospettive di sopravvivenza economica della Slovenia indipendente. Nella seconda ondata, sono stati loro o i loro discendenti a ricevere prestiti politici privilegiati dalle banche statali. Il famigerato Veno Karbone alias Neven Borak è passato dall’ufficio del presidente Kučan a quello di primo ministro, poi sotto la veste di difensore civico della concorrenza è diventato il protettore “dell’ interesse nazionale”, impedendo agli investitori stranieri di entrare e fare concorrenza ai magnati nazionali, e poi alla fine ha assunto la posizione di eminenza grigia nella Banca di Slovenia.

Nonostante il successo dell’indipendenza, Belgrado solo per un giorno ha permesso il sognare di tempi nuovi, dopodichè nella società subito si stabilirono i meccanismi di promozione al contrario. Più qualcuno si opponeva all’indipendenza o ne era scettico e più qualcuno era legato familiarmente, politicamente o emotivamente allo stato della ex RSFJ, maggiori erano le sue possibilità di carriera e di successo politico nella Slovenia indipendente. Il Pashaluq comunista, che  avevano perso tra Triglav e Vardar, hanno cercato instancabilmente di stabilirlo in miniatura, tra Triglav e Kolpa. E, in una certa misura, ci sono riusciti. Oggi, tra tutti i paesi sorti sul territorio dell’ex RSFJ, solamente in Slovenia l’iconografia comunista e jugoslava prevale in molte manifestazioni, e solamente in Slovenia gli ex funzionari comunisti jugoslavi ricevono ancora speciali supplementi di pensione.

La campagna per screditare l’indipendenza slovena continua ancora oggi, dalle accuse di traffico d’armi ai cosiddetti “cancellati” e alle dichiarazioni del presidente dell’Unione dei veterani della guerra per la Slovenia secondo cui l’indipendenza ha diviso la nazione slovena precedentemente unita. Ogni anno che passa gli attori dello screditamento diventano più aggressivi, man mano che la memoria della generazione che ha vissuto direttamente l’indipendenza si è affievolita. Chiunque abbia fatto notare le manipolazioni è stato screditato e ridicolizzato dai media. La rete dell’ex SDV, con più di diecimila collaboratori e intrecciata con l’apparato giudiziario e di Polizia, istituzioni parastatali come la Commissione per la corruzione o il Commissario per l’informazione, e agenzie investigative private, è rimasta aggressivamente attiva. Tuttavia, il monopolio mediatico della sinistra di transizione, che ha sminuito ogni anno l’importanza dell’indipendenza e ha glorificato le conquiste rivoluzionarie della cosiddetta Guerra di Liberazione Nazionale (NOB), si è solo rafforzato dal 1992 dopo una breve tregua quando si è placato all’indipendenza.

La resistenza alla distorsione della storia sarebbe oggi praticamente impossibile se non fosse per la conservazione di documenti e registri di ben due decenni fa, alcuni storici accurati, e gli sforzi dei partecipanti che hanno scritto le loro memorie. Più o meno gli stessi attori che volevano in tutti i modi impedire la rivelazione della drastica falsificazione della storia dal 1941 in poi, e che quotidianamente sostenevano pubblicamente che non avrebbero permesso che fosse distorta (leggi: non permetteranno la verità), hanno invece trasferito i loro metodi di distorsione dal regime totalitario all’epoca post-indipendenza. Nel difendere la storia distorta del 1941-1990, lo stesso lavoro è stato utilizzato per il periodo dopo il 1990. Il lavaggio del cervello quotidiano avviene attraverso i mass media e la base di questo è contenuta in commenti, convegni, libri di testo e programmi scolastici, così come documentari o trasmissioni quasi-documentarie.

Tutto questo, naturalmente, è pagato con i soldi dei contribuenti.


In alcuni giornali sloveni, autori vari si opponevano apertamente all’indipendenza slovena. Nel libro Il libro bianco sull’indipendenza slovena – oppugnazioni, ostacoli, tradimento si può trovare un certo numero di articoli su di questo. Una selezione speciale di questi articoli può anche essere vista al Museo dell’Indipendenza Slovena a Lubiana (vedi foto sopra). Gli sforzi per ottenere l’indipendenza sono stati ridicolizzati in tutti i media sloveni controllati dalla sinistra, specialmente in Mladina e Dnevnik. La “battuta” con il punto nero (foto a destra) è tratta da Mladina del 26 gennaio 1990, a cura di Miran Lesjak. Sotto il punto nero in basso, hanno cinicamente scritto in piccolo: “1 maggio: continua a fissare il punto nero finché non vedi la Slovenia indipendente, ripeti l’esercizio ogni giorno”. Attività simili sono state svolte dal deputato LDS Franco Juri con le sue vignette in Delo e più tardi in Dnevnik.

Le basi della Slovenia indipendente sono i valori della primavera slovena – la fondazione della RSFJ fu un crimine

La Costituzione slovena contiene il testo del giuramento che viene pronunciato dopo l’elezione da tutte le alte cariche dello stato dopo l’elezione. Giurando si impegnano a “rispettare la Costituzione, a agire secondo la loro coscienza ed a lottare con tutte le loro forze per il benessere della Slovenia”. Una prova con la quale possiamo determinare se un atto, un comportamento o un programma di un individuo, un gruppo, un partito politico o un’opzione politica è veramente in conformità al giuramento costituzionale è abbastanza semplice.

Quando un individuo, un gruppo, un partito o un’opzione politica porta in primo piano e enfatizza i valori, gli eventi e le conquiste dell’indipendenza slovena, che ci hanno messo sulla mappa del mondo e attorno ai quali gli Sloveni di gran lunga di più nella nostra storia si sono uniti e sono stati unificati, allora sta agendo in conformità con il testo e lo spirito del giuramento costituzionale.

Ma quando un individuo, un gruppo, un partito o un’opzione politica porta in primo piano gli eventi e i tempi che ci hanno diviso e distrutto come nazione, agisce in contrasto con il testo e lo spirito del giuramento costituzionale. E nessun tempo fu più distruttivo per la nazione slovena della rivoluzione comunista fratricida, con la quale la cricca criminale approfittò del difficile periodo di occupazione e dei genuini sentimenti patriottici degli Sloveni per prendere il potere con la forza. Oggi attraverso questa cartina di tornasole è facile riconoscere di quale uomo si tratta. Nessuno che glorifica il tempo della guerra fratricida, nel 1991 era sinceramente a favore dell’indipendenza. Perché lo stato sloveno, che, nonostante la divisione della politica, è stato creato in quel momento con il grande consenso del popolo, era una negazione fondamentale delle basi sanguinarie della RSFJ disintegrante.

Come sappiamo da molto tempo, e come dimostrano in dettaglio i documenti qui presentati, non eravamo tutti a favore dell’indipendenza. Secondo i risultati del plebiscito, l’indipendenza slovena formalmente è stata opposta da circa 200.000 persone e dalla maggior parte della nomenclatura post-comunista in Slovenia, dalla maggior parte del resto dell’allora RSFJ e dalla maggior parte della politica mondiale. Tra i 200.000 oppositori domestici all’indipendenza, circa 50.000 erano estremisti. Alcuni di loro presero parte all’aggressione contro la Slovenia con le armi in mano, altri con disgusto rifiutarono la cittadinanza slovena e lasciarono il paese dopo la sconfitta dell’EPJ. Alcuni sono rimasti e hanno trovato rifugio nei partiti di sinistra slovena. Molti di coloro che rifiutarono la cittadinanza slovena e lasciarono la Slovenia con l’esercito sconfitto o anche prima della sconfitta, cominciarono a tornare dopo alcuni anni, quando la Slovenia è cominciata ad avanzare e le altre parti dell’ex Jugoslavia rimanevano indietro, e quando la pensione media in Slovenia era dieci volte più alta della pensione media in Serbia e Bosnia-Erzegovina. All’inizio in silenzio, ma poi sempre più rumorosamente, cominciò ad emergere un gruppo di persone cosiddette ‘cancellate’. Ad alcune centinaia di casi legittimi, in cui gli individui volevano regolare il loro status di stranieri o addirittura la loro cittadinanza, ma non ci sono riusciti per ragioni oggettive, si sono aggiunti migliaia di speculatori che hanno tradito la Slovenia alla sua nascita, e che oggi, con l’aiuto della politica di sinistra antislovena, pretendono un risarcimento dal contribuente sloveno.

Nonostante gli ostacoli, gli avversioni e i tradimenti, l’indipendenza della Slovenia da Belgrado ebbe successo. Ma c’era un’altra possibilità…

Fonte: Associazione per i valori dell’indipendenza slovena: Libro bianco dell’indipendenza slovena – oppugnazioni, ostacoli, tradimenti. Nova obzorja, d. o. o., Ljubljana 2013


Il 27 aprile 2013, l’intero vertice dello stato sloveno ha partecipato ad una celebrazione a Lubiana con una scenografia comunista che ricordava completamente i tempi in cui esisteva ancora la totalitaria Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia.


Il Libro bianco sull’indipendenza slovena – oppugnazioni, ostacoli e tradimento rivela come gran parte della nomenklatura slovena post-comunista si opponeva all’indipendenza della Slovenia.


I documenti pubblicati nell’antologia “Guerra per la Slovenia”, che si susseguono nel tempo, illustrano come si è svolta l’aggressione dell’EPJ alla Slovenia e come ci siamo difesi e abbiamo sconfitto militarmente l’esercito federale jugoslavo.


Janez Janša è stato vicepresidente dell’Unione Democratica Slovena, membro della prima Assemblea democraticamente eletta della Repubblica di Slovenia nel 1990 e Ministro della Difesa al tempo dell’indipendenza della Slovenia da1990 a1992. Oggi è il presidente del Partito Democratico Sloveno e per la terza volta il primo ministro della Repubblica di Slovenia.

(1) Membri dell’EPJ catturati per provincia
Totale membri catturati EPJ: 2.663
Di questi ufficiali e sottufficiali: 253
Ufficiali e sottufficiali / Civili / Soldati

(2) Membri dell’EPJ disertati per provincia
Totale membri dell’EPJ disertati: 3.090
Di questi ufficiali e sottufficiali: 281
Ufficiali e sottufficiali / Civili / Soldati

(3) Membri di DT e EPJ morti e feriti per provincia
EPJ morti / EPJ feriti
DT morti / DT feriti

Numero di tutti i membri della DT, per giorno

Materiale bellico sequestrato in azioni di combattimento
Armi di fanteria
Armi anticarro
Armi di difesa aerea
Veicoli blindati
Veicoli a motore
Armi di artiglieria
Mezzi di collegamento
Mezzi elettronici

L’infografica mostra la quantità di armamenti ed equipaggiamento militare confiscato durante le azioni di combattimento della DT. Oltre ai beni elencati nel grafico, la DT della RS tra il 26 giugno e il 17 luglio 1991 ha confiscato circa 7 milioni di pezzi di munizioni per armi di fanteria, 20.000 pezzi di munizioni per varie armi anticarro e antiaeree, circa 400 mila tonnellate di mine e piccole quantità di equipaggiamento da quartiermastro, sanitario e ABKO. Queste quantità non includono le armi e le attrezzature confiscate dalla Polizia durante le operazioni di combattimento.


Janez Janša come primo ministro della Repubblica di Slovenia al suo arrivo alla cerimonia principale in occasione della giornata delle forze armate slovene il 15 maggio 2021.


Trent’anni dopo l’indipendenza slovena, le forze armate slovene sono di nuovo al passo con i tempi e pronte ad affrontare le sfide che non mancano al tempo presente.


Un’analisi della guerra per la Slovenia

L’Europa, e l’Unione Europea particolarmente, oggi in gran parte rappresenta un luogo di pace e di progresso relativo, eppure alcune nazioni, vivendo senza un proprio stato nel loro cuore, lottano comunque per diventare una nazione ed un’entità indipendente nella comunità internazionale.

Catalani vorrebbero decidere in un referendum se secedere dalla democratica Spagna, e gli scozzesi se rimanere o meno parte del Regno Unito. Ancora più ampiamente oggi su questo pianeta, ci sono molte nazioni, molto più grandi della Slovenia, che non hanno un proprio paese, anche se, con poche eccezioni, di regola, tutte lo vogliono. Gli Sloveni hanno recentemente conquistato il diritto a un proprio paese.

Il centro di valore della nazione

Nella storia di ogni nazione che forma uno stato, c’è un momento specifico in cui la nazione diventa sovrana, padrona di se stessa. Un tale momento, di solito legato agli eventi che hanno reso possibile l’indipendenza e l’hanno messa sulla mappa del mondo o il riconoscimento internazionale, è venerato dalle nazioni come qualcosa di “sacro”, celebrato nelle feste nazionali, e le città, piazze, strade o onori portano il suo nome e i nomi dei suoi eventi. Questo tempo evoca un atteggiamento positivo da parte della maggioranza dei cittadini o dei membri di una nazione. Un tale momento rappresenta il centro di valore di una nazione. Per noi Sloveni è il tempo dell’indipendenza. All’interno di questo periodo, esteso nella storia dal 1987 al 1992, spiccano in particolare i giorni della guerra per la Slovenia. Erano le settimane, i giorni e le ore di giugno e luglio 1991, quando tutto era in gioco. Il futuro indipendente ed europeo degli Sloveni, l’ordine democratico, la nostra religione e le nostri leggi, la nostra prosperità e le nostre vite. Questi erano i giorni in cui – una nazione disarmata nel maggio 1990 – si è alzata di nuovo per i suoi diritti, ha dichiarato una Slovenia indipendente ed ha resistito all’aggressione dell’EPJ.

In quei giorni, una piccola percentuale di Sloveni che, con l’appoggio massiccio della nazione, ha preso tutte le armi disponibili e insieme alla difesa civile si è opposta a quello che tecnicamente era il quinto esercito più forte d’Europa, e con il suo coraggio ha raggiunto l’impossibile, scrivendo l’atto finale del passaggio della nazione slovena allo stato sloveno. In quel periodo il coraggio degli Sloveni fu ammirato da tutto il mondo. I rappresentanti dei paesi più potenti del mondo, che pochi giorni prima della guerra affermavano che non ci avrebbero mai riconosciuto, cambiarono la loro posizione grazie al nostro coraggio.

In pochi giorni, la stampa mondiale ha cambiato il suo atteggiamento nei confronti della Slovenia ed è passata dalla nostra parte. La rivista americana ad alta tiratura People ha intitolato il suo resoconto della guerra per la Slovenia come ‘Il topo che ruggì’. Gli Sloveni di tutto il mondo sono scesi nelle strade delle metropoli come un tutt’uno, inondando i governi di lettere e appelli a sostegno della lotta della loro patria contro Golia. Nonostante la contrarietà all’indipendenza da una parte della politica di sinistra, la nazione era unita. Unita come non mai e molto coraggiosa. Queste erano “le ore più belle”, le ore sante, l’alto canto della nazione slovena. Ci siamo sollevati e siamo sopravvissuti.

I numeri che raccontano la storia

Questo fatto storico innegabile non può essere cambiato o distorto. Né può essere dimenticato o insabbiato, anche se questo è stato costantemente tentato praticamente dal 1991. “Abbiamo mai avuto una guerra in Slovenia?” si sono chiesti beffardamente alcuni, ma naturalmente solo dopo che l’ultimo soldato aggressore aveva lasciato la Slovenia nell’ottobre 1991. Mentre le affermazioni di coloro che si oppongono all’indipendenza slovena che non c’è stata una vera guerra in Slovenia, con il passare del tempo dall’aggressione dell’EPJ contro la Slovenia sono diventate più forti e più sostenute dai media, paradossalmente, gli storici in Serbia non hanno alcun dubbio. Un libro di due storici serbi (Kosta Nikolić, Vladimir Petrović: Guerra in Slovenia (giugno-luglio 1991, Documenti della presidenza della RSFJ, Istituto della storia contemporanea, Belgrado 2012) porta il titolo inequivocabile: Guerra in Slovenia.

I generali dell’EPJ e i politici della RSFJ che hanno mandato carri armati e truppe su di noi, sostengono che stavano difendendo la Jugoslavia e i suoi confini internazionalmente riconosciuti, ma non negano la guerra. Non negano nemmeno di essere stati sconfitti in Slovenia.

Nelle loro memorie, gli ufficiali dell’EPJ del 5. distretto militare che guidarono operativamente l’aggressione alla Slovenia, descrivono in dettaglio come hanno vissuto quei giorni di giugno e luglio 1991 e come “l’amarezza della sconfitta in Slovenia è caduta pesantemente su di loro”. A causa della sconfitta nella prima ondata di aggressione il comandante del 5. distretto militare, il generale Konrad Kolšek, fu sostituito dall’allora comandante del III distretto militare, il generale Žika Avramović. Tuttavia, due giorni dopo il suo arrivo, Avramović ripeté il destino di Kolšek e subì una sconfitta ancora più grave.

Anche i numeri raccontano la loro storia. Il 26 giugno 1991, l’EPJ ha cominciato la sua aggressione contro la Slovenia con un totale di 22.000 soldati, ufficiali e sottufficiali. Le analisi pubblicate nel libro La guerra per la Slovenia mostrano che l’EPJ ha subito 48 morti e 116 feriti nella guerra per la Slovenia, che le unità della  Difesa Territoriale hanno catturato 2.663 dei suoi membri nei combattimenti, mentre 3.090 sono fuggiti volontariamente dalla parte slovena.


La gente del posto vicino a Komenda nella regione di Gorenjska guarda i soldati dell’aggressore dell’EPJ accanto ai veicoli blindati il 27 giugno 1991, all’inizio della guerra per la Slovenia.

Dei 22.000, l’EPJ ha perso almeno 5.917 membri, o più di un quarto, in poco più di 7 giorni di combattimento, tra i quali una percentuale sproporzionatamente alta – almeno 534 – di ufficiali e sottufficiali in servizio attivo.

Per un primo confronto, la Difesa Territoriale (tenendo conto anche delle vittime degli incidenti) ha avuto 9 morti e 44 feriti, mentre la Polizia slovena ha avuto 4 morti. L’EPJ ha catturato solo un ufficiale delle forze slovene e nessuno è passato dalla DT all’EPJ.

Per un altro confronto (perché le parole denigratorie e dure sulla “non guerra” del 1991 provengono principalmente dai membri della Federazione delle associazioni dei combattenti): tra il 6 aprile 1941 e il 9 maggio 1945, le unità partigiane slovene, con le loro perdite pesanti, neutralizzarono un numero di membri delle forze di occupazione italiane e tedesche significativamente inferiore di quanto la DT e la Polizia riuscirono nei dieci giorni di guerra per la Slovenia, nonostante il fatto che durante la seconda guerra mondiale i due citati occupanti in Slovenia inviarono principalmente formazioni militari di seconda classe con lo armamento esattamente della stessa classe.

Poiché i rinforzi inviati dai generali Kolšek e Avramović in Slovenia sono stati per lo più fermati al loro ingresso in Slovenia, le unità dell’EPJ rimaste in Slovenia prima dell’accordo di Brioni sono state strategicamente sotto tutti i punti di vista in una posizione completamente subordinata. Il 26 giugno, l’EPJ ha iniziato la guerra non solo tecnicamente, ma anche numericamente sproporzionatamente più forte. La Slovenia non era nemmeno in grado di chiamare alle armi tanti membri della DT quanti ne aveva l’EPJ direttamente sul nostro territorio. La causa era, ovviamente, la mancanza di armamenti. Meno di 10 giorni dopo, la situazione è notevolmente cambiata a nostro favore. Non solo la Slovenia è stata in grado di armare 35.300 delle sue truppe (esclusa la Polizia) già il 5 luglio grazie alle armi e l’equipaggiamento confiscati, ma con l’aiuto delle armi pesanti che aveva acquisito, soprattutto mezzi anti-carro e anti-aerei, la Slovenia poteva contare di poter contrastare con successo a qualsiasi forza che l’EPJ avrebbe potuto inviare contro il giovane stato sloveno.

Questo fatto ha avuto un’influenza decisiva sul cambiamento della strategia di Milosević. Il suo piano originale, il Piano A,  creare una Jugoslavia centralizzata all’interno dei confini esistenti e sotto il diretto dominio serbo, con l’aiuto dell’EPJ e dell’amministrazione della RSFJ, è crollato con la sconfitta dell’EPJ in Slovenia. Intorno al 10 luglio 1991, il governo serbo ha deciso finalmente di passare al piano B, alla formazione di una grande Serbia.


Vista dalla sala operativa del Gruppo di coordinamento che ha guidato la difesa della Repubblica di Slovenia all’inizio di luglio 1991.

Documenti della guerra per la Slovenia

I documenti pubblicati nella collezione Guerra per la Slovenia seguono generalmente l’ordine cronologico della loro creazione.

La presentazione inizia con l’ordine sull’istituzione del Gruppo Operativo Permanente di Attesa del Corpo di Coordinamento, emesso il 7 maggio 1991. Grazie alla tempestiva istituzione del Gruppo di Coordinamento (di seguito chiamato anche il Quartier Generale della Difesa Slovena, Coordinamento o Quartier Generale) il 18 marzo 1991 e all’introduzione del servizio permanente all’inizio di maggio, la prima seria dimostrazione di forze con l’EPJ al momento dell’incidente di Pekre era stata anticipata e noi eravamo sufficientemente preparati ad affrontarla.

La presentazione si conclude con un’analisi delle operazioni di combattimento delle forze armate slovene dal 26 giugno al 17 luglio 1991,  discussa il 18 luglio 1991 in una riunione dello Quartier Generale della difesa slovena ovvero del gruppo di coordinamento.

Un’appendice speciale alla fine del libro presenta la parte introduttiva del piano “Okop -Bedem” (Trincea) dell’EPJ, che è stato parzialmente utilizzato dall’aggressore come base per l’attacco alla Slovenia e che illustra più vividamente la mentalità dei vertici militari dell’EPJ e dei vertici politici della RSFJ. Erano convinti che il loro potere fosse praticamente illimitato e che fossero in grado di sconfiggere persino la NATO, figuriamoci la povera Slovenia. Purtroppo, anche molti influenti oppositori dell’indipendenza slovena domestici erano convinti del potere dell’EPJ, della sua ideologia comunista-partigiana e delle sue armi, ed è per questo che sono stati così convinti per tutto il tempo, e soprattutto dopo il disarmo delle forze armate slovene nel maggio 1990 e il plebiscito nel dicembre dello stesso anno, che hanno giocato la carta “dell’indipendenza da operetta”, contando su una dichiarazione  di una Slovenia indipendente (il giorno in cui i sogni sono permessi), ciò, a causa della forza dell’EPJ, a loro avviso non  potrebbe realizzarsi in pratica, e quindi alle altre nazioni hanno immediatamente offerto di unirci in una nuova Jugoslavia. Questa era la dottrina ufficiale, presentata pubblicamente, dei socialdemocratici (allora ancora ZKS-SDP). I documenti e le testimonianze su questo sono pubblicati nel Libro Bianco dell’Indipendenza Slovena (Nova Obzorja, giugno 2013).

Il primo capitolo, “Gli ultimi preparativi per la difesa della Slovenia”, contiene un gran numero di documenti finora per lo più inediti o meno conosciuti, relativi al lavoro del Gruppo di coordinamento, del Ministero della difesa, della Difesa Territoriale e della Polizia nel maggio e giugno 1991, quando, da un lato, cresceva la consapevolezza del grande D-day, che, più di ogni altro giorno nella nostra storia, avrebbe deciso il futuro della nazione slovena, e, dall’altro, il tempo era concentrato in preparativi febbrili per la difesa contro la minaccia apparente a quel futuro. In questo periodo spiccano gli eventi di Pekre, il rapimento del comandante della Settima sede provinciale della Difesa Territoriale e la prima vittima dell’aggressione contro la Slovenia, il completamento dei piani per il successo dell’ostruzione e del blocco delle unità dell’EPJ, bensì gli sforzi per fornire alla DT le armi di fanteria, almeno per emergenza.

Il secondo capitolo, “Il battesimo del fuoco alla nascita”, copre il periodo dal 25 giugno al 10 luglio 1991, il tempo in cui la guerra per la Slovenia è stata vinta. Il periodo inizia con la dichiarazione d’indipendenza della Slovenia nell’Assemblea e l’effettiva presa dei valichi di frontiera, delle dogane, del controllo del traffico aereo, dell’ispezione dei cambi e di altre competenze, fino ad allora federali, nonché l’istituzione di posti di controllo alla frontiera del nuovo confine di stato con la Croazia. A causa dell’emissione della data vera dell’assunzione del potere effettivo da parte del membro della presidenza della Repubblica di Slovenia, Ciril Zlobec, il periodo inizia con il parziale intervento prematuro delle unità dell’EPJ del Corpo di Reka  a Primorska e Gorizia e il dilemma strategico se usare le armi per la difesa prima o dopo la dichiarazione d’indipendenza. Il capitolo si conclude con i documenti del 10 luglio 1991. Il giorno in cui il quartier generale della difesa slovena con successo neutralizza i più forti tentativi dell’EPJ di interpretare e ribaltare a proprio favore le conclusioni molto ambigue dei negoziati di Brioni e di riconquistare così tutto ciò che aveva perso nella lotta.

Uno dei documenti centrali di questo capitolo è l’Ordine del quartier generale del 28 giugno 1991, l’ordine per “l’offensiva”. Solo alcune frasi di questo documento attestano diverse cose. In primo luogo, il documento presenta un riflesso, un riconoscimento accurato e tempestivo della situazione reale. Questo è il momento, nella maggior parte delle grandi battaglie o guerre, in cui l’accurata e tempestiva comprensione e, di conseguenza, le corrette decisioni di coloro che sono al comando, determinano da che parte si inclinerà la bilancia. Il 28 giugno 1991 era il giorno in cui, dopo il successo dei blocchi di molte colonne corazzate e il primo assaggio della sconfitta, l’EPJ ha usato massicciamente l’aviazione per attaccare le strutture civili. Lo scopo era ovvio: dimostrare la superiorità nell’aria e seminare la paura tra i difensori e la popolazione. Sapevamo che questa decisione sarebbe stata seguita da rinforzi corazzati dai corpi di Varaždin e Zagabria e che l’equilibrio temporaneo, stabilito il 27 giugno era in bilico.

Avevamo bisogno di armi pesanti e di azioni ben riuscite per risollevare il morale. Preferibilmente entrambi allo stesso tempo, quindi è giunto il momento di attaccare i magazzini dell’EPJ, ovvero di attuare i piani in precedenza preparati con il nome in codice “Acquisizione”. Lo stesso giorno, un plotone di ricognizione della brigata speciale di Krkovič, in un’azione fulminea senza vittime, ha sequestrato un grande magazzino di armi, esplosivi e attrezzature militari vicino a Borovnica. Per questa azione tutti i partecipanti meriterebbero la più alta decorazione dell’indipendenza, la Medaglia della Libertà. Forse un giorno  quando la Slovenia indipendente avrà un Presidente della Repubblica che porterà i valori dell’indipendenza nel cuore come loro, saranno conferite queste decorazioni a tutti loro.


La guerra ha lasciato dietro di sé la devastazione, ma anche la gioia per il successo della difesa del giovane paese e della patria della Slovenia.

Ci sono stati molti eventi molto importanti nella guerra per la Slovenia che hanno tessuto in modo decisivo la vittoria. Nella prima analisi del quartier generale della Difesa Territoriale, pubblicata nel terzo capitolo, è giustamente sottolineato l’arresto delle colonne corazzate a Medvedjek e al ponte di Ormož all’inizio dei combattimenti. Nella stessa categoria può essere collocato anche l’attacco con i lanciatori di mine sulla pista di atterraggio dell’aeroporto militare di Cerklje, che ha spinto la squadriglia aerea dell’EPJ verso Bihać. Ed anche il sequestro dei valichi di frontiera di Rožna dolina, Šentilj e Holmec, il blocco delle colonne corazzate dell’EPJ in molti luoghi del paese, l’abbattimento degli elicotteri nemici, il sequestro dei rimasti depositi dell’EPJ, ecc.

Tuttavia, dopo un esame più attento di tutte le azioni di combattimento della DT e della Polizia slovena, e la loro collocazione nel tempo e nel quadro più grande, si può facilmente identificare l’azione di combattimento  della DT più importante per la vittoria nella guerra per la Slovenia. Si tratta, senza dubbio, del sequestro del magazzino dell’EPJ a Borovnica. In questa singola azione, una manciata di membri della Brigata Speciale ha confiscato una quantità di armi, ordigni esplosivi ed equipaggiamento militare più grande di tutto ciò che le unità partigiane slovene hanno sequestrato in tutte le azioni di combattimento durante la seconda guerra mondiale messe insieme (sono ovviamente esclusi i sequestri dopo la capitolazione dell’Italia e della Germania seguendo la sconfitta sui campi di battaglia mondiali). Il successo fu completo anche perché il magazzino è stato preso proprio sotto il naso di una grande concentrazione di truppe dell’EPJ nelle caserme di Vrhnika, da dove avrebbero potuto distruggere il magazzino con cannoni e razzi, naturalmente se avessero saputo dell’azione in tempo. Ma l’unità militare che ha sequestrato il magazzino è riuscita a convincere l’operatore radio, che doveva riferire a Vrhnika sulla situazione nel magazzino  ogni 30 minuti, a continuare a riferire al comando che nel magazzino era tutto al posto suo.

Parafrasando la famosa dichiarazione di Winston Churchill dopo la battaglia aerea per l’Inghilterra, si può dire che mai nella storia della nazione slovena così tante persone  dovevano così tanta gratitudine ad una manciata di loro compatrioti.

Il terzo capitolo, “Valutazioni e lezioni apprese”, presenta i documenti dal 10 al 17 luglio 1991. La parte centrale di questo capitolo è un’analisi delle operazioni di combattimento del quartier generale reppublicano della DT, che è stata effettivamente effettuata in corso o subito dopo le attività di combattimento. Questa vicinanza temporale ha i suoi lati positivi e negativi. Lo svantaggio è la mancanza di tempo, che non ha permesso ai comandi repubblicani e provinciali della DT di esaminare seriamente le valutazioni e di effettuare ulteriori controlli con tutti i comandi subordinati. Il lato positivo è che le valutazioni scritte sono state effettivamente fatte “sul posto”, senza razionalizzazioni e abbellimenti successivi. È stato registrato e valutato tutto ciò che, nel contesto di un’unità strategia di difesa, diede forma a una moltitudine di decisioni tattiche a livelli diversi, il cui risultato – con tutti i pro e i contro – è stata una vittoria militare, o meglio, una guerra vittoriosa per la Slovenia.

La preziosa esperienza di quei giorni decisivi

I documenti pubblicati in questa collezione riflettono i tempi in cui sono stati creati e le persone che li hanno creati. Alcuni dei rapporti e degli ordini sono scritti in modo professionale e senza parole superflue dicono tutto ciò che era necessario. Altri non sono così precisi, senza alcuni elementi necessari. Alcuni sono addirittura scritti a mano, a seconda delle circostanze specifiche della guerra. I documenti qui presenti, insieme ai dati numerici e alle conoscenze generali di ciò che è accaduto nella guerra per la Slovenia, permettono naturalmente anche di valutare le prestazioni dei singoli comandi provinciali, dei sottogruppi di coordinamento e, non da ultimo, dei quartieri generali che guidarono la difesa della Slovenia. Da tutto ciò si può capire sia la competenza e la motivazione di singoli e di interi comandi, ed in alcuni casi anche l’influenza di quella parte della politica slovena che contava su un’indipendenza da operetta, che in alcuni casi, anche in piena guerra, trattava l’EPJ più favorevolmente della DT.

In misura minore, i documenti si riferiscono al ruolo della Polizia slovena, che era strategicamente importante per la difesa della Slovenia, in quanto erano già stati raccolti in varie altre pubblicazioni. Naturalmente, anche nella Polizia l’immagine non era la stessa dovunque. Mentre in alcuni luoghi (ad esempio nella regione del Sud Primorska) le sue unità erano più attive delle unità e dei comandi della DT, in altri (ad esempio nella regione della Dolenjska) praticamente non hanno sparato un colpo sigolo. Ma più tardi, paradossalmente, all’interno della Polizia e del Ministero dell’Interno è stato promosso soprattutto il personale della Dolenjska.

Leggendo i documenti, il lettore si imbatterà direttamente o indirettamente in alcune informazioni e curiosità che in 23 anni si sono dimenticate, o non sono mai state generalmente conosciute. L’autore di questo testo nel 1991 è stato direttamente coinvolto nella creazione o nella lettura di molti citati ordini, direttive, rapporti e analisi. Nonostante ciò, durante la redazione dell’antologia e la sua rilettura, anche lui si è imbattuto in molti dettagli, che oggi sono interessanti, ma che all’epoca, in piena guerra e nel tempo concentrato, non sono stati nemmeno notati. Inoltre, oggi, leggendo le analisi a causa del sufficiente lasso di tempo, si diventa ancora più consapevoli di alcuni degli errori commessi.

Uno dei miei errori durante il periodo di preparazione della difesa della Slovenia è stato il mio consenso alla continuazione della riorganizzazione della difesa territoriale, che ha ridotto il numero dei comandi provinciali da 13 a 7 ed ha accorporato i comandi comunali in comandi regionali. Visto il grave pericolo che ci minacciava, avrei dovuto fermare la riorganizzazione, perché la nuova struttura delle sedi regionali in particolare ci stava causando un sacco di problemi. Oltre a complicare i legami naturali con le comunità locali, la riorganizzazione ha portato molta burocrazia e non sufficientemente elaborati canali di comando.

Un altro errore simile è stata la nostra sottovalutazione dell’importanza dei nuovi simboli e delle uniformi. In altre parole – una sottovalutazione delle priorità in una grave siccità finanziaria. Nonostante l’imminente minaccia della guerra, il ministro delle Finanze, Marko Kranjec, con il forte sostegno dell’opposizione e della maggioranza del governo, ha assegnato alla DT fondi molto esigui, dedicati quasi tutti all’acquisto di armi. A causa della mancanza di sostegno e, talvolta, dell’aperta riluttanza della maggioranza dei membri del Comando Supremo ovvero della Presidenza della Repubblica di Slovenia al rafforzamento delle forze di difesa (nel febbraio 1991, 4 membri della Presidenza su 5 hanno firmato una dichiarazione in cui affermavano che la Slovenia non aveva bisogno di un esercito), ed a causa dell’enorme procrastinazione e della resistenza dell’opposizione all’adozione del bilancio della difesa, abbiamo ricevuto i già scarsi fondi solo in primavera, il che ha messo in serio pericolo l’acquisto di almeno modeste quantità di armi anticarro e di fanteria.  Perciò troppo tardi, solo nel maggio 1991, abbiamo potuto iniziare l’addestramento dell’esercito regolare, e solamente di due unità minori.

Non c’è rimasto niente per le uniformi, per di più, a causa dell’opposizione anche i nuovi simboli nazionali il Parlamento non li ha definiti fino al 25 giugno 1991. Nonostante tutto ciò, avremmo dovuto improvvisare e prima della guerra dotare con nuove uniformi almeno le unità più importanti. Soprattutto, non ci sono scuse per non aver fornito, al momento dell’indipendenza, abbastanza coccarde per i berretti militari. Pertanto le critiche sulla mancanza di insegne e di nuove uniformi che appaiono nei rapporti di combattimento di molti quartieri generali sono completamente giustificate.

I rapporti e le analisi mostrano che abbiamo avuto difficoltà a mobilitare le truppe. È stato nascosto al pubblico che la Presidenza della Repubblica di Slovenia non ha dichiarato la mobilitazione nemmeno il 27 giugno 1991, quando ha constatato l’aggressione ed ha emesso l’ordine per l’uso delle armi. Abbiamo mobilitato le truppe insieme alle chiamate, ovvero come una mobilitazione “di prova”, che era di competenza del quartier generale della DT, come se si trattasse di un’esercitazione militare. In qualche modo è riuscito. C’erano diverse ragioni per questo approccio, ma probabilmente non le scopriremo mai tutte. Se tutti avessero agito come avrebbero dovuto, il 25 giugno 1991 PRAMOS, la famosa legge di mobilitazione della RSFJ, non sarebbe più stata in vigore in Slovenia.

La risposta dei membri del TO arruolati è stata mediamente alta, ma non ovunque. Le maggiori mancanze delle risposte sono state a Lubiana e in parte a Maribor, dove abbiamo dovuto emettere dal 30 al 50% di chiamate in più per raggiungere almeno il 90% di completezza delle singoli unità. È stato particolarmente critico il primo periodo dopo l’aggressione a Lubiana, perchè anche 10 ore dopo la mobilitazione la risposta non aveva raggiunto una percentuale soddisfacente. Dopo la fine della guerra, le autorità competenti in qualche modo hanno dimenticato di prendere provvedimenti contro coloro che non hanno risposto alla chiamata, ciò giustamente ha causato malumori tra tutti coloro che avevano risposto immediatamente alla chiamata per difendere la patria. In generale, nelle zone rurali e nelle piccole città la risposta è stata molto migliore che nei centri nazionali e regionali.

Oltre alle carenze e ai fallimenti amministrativi e generali a livello statale menzionati sopra, i documenti pubblicati forniscono anche una comprensione relativamente buona di ciò che stava accadendo a livello provinciale e comunale. Anche se nei rapporti di combattimento molti eventi non sono descritti con sufficiente dettaglio, è comunque possibile vedere dove si sono verificati i problemi e gli errori. A volte, per il semplice fatto che un evento accaduto era noto e importante, nei rapporti non viene affatto menzionato. Per esempio, alcuni valichi di frontiera sono stati occupati dall’EPJ senza nessuna resistenza, anche se avrebbero potuto essere difesi sugli approcci. Molte delle barricate non erano né minate né difese, quindi non costituivano grandi ostacoli ai carri armati dell’EPJ. Già il primo giorno di guerra era chiaro in molti luoghi, dove i comandanti erano capaci e dove non erano all’altezza della sfida. In alcuni posti chiave erano necessarie le sostituzioni, anche nella provincia più grande con il maggior numero delle unità della DT. Non c’era tempo per imparare e adattarsi. Un giorno perso non poteva essere recuperato. Un’unità dell’EPJ che aveva  troppo facilmente attraversato una barricata indifesa in un burrone, doveva poi essere fermata, con un rischio molto maggiore, allo scoperto. I carri armati, che, nonostante gli ordini espliciti di fermarli all’uscita, si allontanarono dalla caserma Vrhnika senza resistenza e seminarono la morte a Brnik, dove, schierati in posizione di combattimento, non sono stati semplicemente neutralizzati senza armi pesanti.

Nonostante tutte le carenze, la disunione politica e gli errori, la Slovenia ha prevalso strategicamente sulla RSFJ e l’EPJ. Le ragioni più importanti per la vittoria nella guerra per la Slovenia sono state:

1. Un obiettivo politico chiaro, sostenuto dall’unità della nazione e dal risultato del plebiscito.

2. Non abbiamo sottovalutato il nemico, ma il nemico ha sottovalutato noi.

3. Le nostre unità erano omogenee e motivate, a differenza di quelle dell’avversario.

4. La maggior parte dei preparativi necessari e possibili per la difesa è stata fatta in tempo

5. Avevamo buone informazioni sull’avversario.

6. La superiorità del nemico in armi e numeri l’abbiamo neutralizzata con limitazione delle sue manovre.

7. Un approccio umano evitando perdite da entrambe le parti, un trattamento non discriminatorio dei feriti e un’efficace attività di propaganda hanno motivato le unità avversarie ad arrendersi.

8. I numerosi successi individuali delle unità della DT e della Polizia dal primo giorno di guerra in poi hanno rafforzato la forza della DT ed hanno aumentato il morale dei militari e della popolazione civile.

9. La buona organizzazione della difesa civile con li suoi blocchi ha sostituito la mancanza di armi pesanti.

10. Nonostante la guerra, l’approvvigionamento della popolazione ha funzionato quasi senza problemi, tutti i rami del governo, tranne il potere giudiziario, hanno funzionato in modo efficiente ed il nuovo stato ha funzionato in modo soddisfacente.

L’unità della nazione, il coraggio delle sue forze armate, la ferma volontà politica della coalizione di governo Demos guidata dal dottor Jože Pučnik e l’iniziativa di una moltitudine di comandanti individuali delle unità tattiche della DT e della Polizia hanno forgiato la vittoria nella guerra per la Slovenia. Una vittoria elevata nella sua finalità all’Olimpo sloveno, una vittoria più importante di tutte le battaglie che i nostri antenati, purtroppo spesso a spese di altri, hanno combattuto nel vortice della storia ingrata dei secoli passati.

Ogni giorno, la guerra per la Slovenia ha scoperto nella nazione slovena migliaia di eroi. Ragazzi e uomini che per amore del loro paese hanno superato la paura. Hanno preso le armi per difendere la loro casa, la loro fede e la loro legge. Per difendere la  Slovenia. Hanno fatto un ottimo lavoro. Dopo la vittoria sono ritornati alle loro case. Il paese li ha dimenticati, la patria non lo farà mai. Perché queste sono state ore sante, l’alto canto della nazione slovena. Ci siamo sollevati e siamo sopravvissuti.


Il ministro della difesa Janez Janša e il ministro dell’interno Igor Bavčar al tempo della guerra per la Slovenia a fine giugno e inizio luglio 1991, insieme a due speciali di Polizia; i due ministri guidavano insieme il Gruppo di coordinamento (il Corpo) della Segreteria della Repubblica per la difesa del popolo e la Segreteria della Repubblica per l’interno, incaricato della gestione operativa della difesa della Repubblica di Slovenia contro l’aggressione dell’esercito federale jugoslavo. Con l’energia giovanile, l’audacia, il coraggio e la lungimiranza strategica, hanno vinto i generali di Belgrado.


La fatale spaccatura della nazione causata dalla guerra fratricida fu almeno temporaneamente superata durante il periodo dell’indipendenza, grazie alla politica di unificazione di Demos e all’enorme pazienza e spirito costruttivo delle persone come il dottor Jože Pučnik, ed è anche per questo che gli Sloveni hanno vinto la guerra per la Slovenia nel 1991 (nella foto, un membro della Difesa Territoriale della Repubblica di Slovenia accanto a un carro armato sequestrato dell’esercito federale jugoslavo, sul quale già sventola  la bandiera nazionale slovena).


Un tempo decisivo per gli Sloveni

Ho scritto il presente testo il 15 maggio 2013 come prefazione alla terza edizione integrata del best-seller “Premiki – Nastajanje in obramba slovenske države 1988-1991” (I Movimenti – Formazione e difesa dello stato sloveno 1988-1991). Contiene molti fatti che non conoscevo al tempo delle prime due edizioni dei Movimenti, e completa significativamente i miei due editoriali del Libro Bianco e della Guerra per la Slovenia, che avete potuto leggere nelle pagine precedenti di questo libretto.

La cella ovvero la cella d’isolamento in cui sono stato rinchiuso nella prigione militare di Metelkova nell’estate del 1988 portava il numero 21. Dal momento in cui sono stato messo lì dentro, ho perso il mio nome. Le guardie e il personale della prigione mi chiamavano con il numero. Quando parlavano di me, usavano il numero 21. “Portate il ventuno”, ha ordinato il direttore del carcere alla guardia. “Oggi il ventuno non portatelo in cortile”, era l’ordine, il che significava che, nonostante il regolamento sul diritto dei detenuti a mezz’ora di passeggiata, sarei stato di nuovo senza aria fresca per un giorno. “Alzati, ventuno”, ha gridato la guardia alle 5 del mattino. Dopo un mese senza nome, una persona comincia a pensare come un numero. Ma tutto questo accadeva nel ventesimo secolo, e ora siamo nel ventunesimo.

Il decennio e mezzo alla fine del XX secolo è stato fatale per la nazione slovena. È stato fatale anche per l’ambiente circostante e, non da ultimo, per milioni di individui. Questo fatto è molto più chiaro oggi di quando il libro I Movimenti è stato scritto – per così dire, durante gli eventi stessi. Ancora oggi, dopo tutto questo tempo, gli eventi di allora sono vivi nella mia memoria come se fossero accaduti ieri. Non devo nemmeno chiudere gli occhi, e le scene degli eventi drammatici, delle riunioni e delle decisioni mi vengono davanti agli occhi.

Vedo l’immagine dei volti pienamente concentrati dei colleghi nel quartier generale della difesa slovena, dove in quelle calde settimane estive del 1991 alcune decine di persone costantemente guidavano e coordinavano  le attività militari e di difesa. Vedo Jože Pučnik che spiega alla direzione di Demos, poco prima dell’ultimo test, che siamo obbligati dalla decisione del plebiscito e che dovremo resistere a tutti i costi. Sento nelle orecchie le parole del ministro della difesa croato che annuncia con voce contrita che il loro presidente ha comandato una sorta di neutralità, e mi sale in bocca il ricordo dell’amara consapevolezza che siamo stati lasciati da soli. Vedo la foto dei soldati dell’EPJ catturati, allineati davanti al governo e un misto di incredulità e sollievo e un’esplosione di gioia quando gli ho detto che riceveranno abiti civili e che poi potranno tornare a casa. Sento la voce arrabbiata del comandante dell’unità della DT di Domžale alle esercitazioni militari sul Medvednjak, che ha lanciato davanti a me il giornale con la Dichiarazione di Pace, con la quale alcuni politici sloveni di sinistra e quattro membri del Comando Supremo pretendono la Slovenia senza esercito pochi mesi prima della guerra. Vedo un’immensa delusione negli occhi dei giovani del plotone di protezione quando appresero che i nostri negoziatori a Brioni avevano accettato di restituire tutte le armi confiscate e di rilasciare tutti gli ufficiali catturati dell’EPJ. Sento le voci dei guerrieri del battaglione di Litija a Orle, che mi hanno circondato e pretendono uniformi slovene, o almeno coccarde slovene per i loro berretti. Vedo Igor, che dopo l’esplosione dell’elicottero estrae un fucile da cecchino, e Tone, che, con voce risoluta e un fucile automatico in mano, fa ordine tra i membri delle varie unità che occupano le posizioni. Provo di nuovo un grande sollievo quando annunciano all’ultimo momento, poco prima della dichiarazione d’indipendenza, che è arrivata la tanto attesa nave con le armi. Provo ansia e immensa preoccupazione in una sala piena di genitori dei giovani – ce ne sono circa 6.000 ancora in servizio nell’EPJ a poche settimane dalla guerra. Sento ancora sulle spalle il calore del sole estivo al tramonto, che ci ha accompagnato fino alla Piazza della Repubblica, dove finalmente è sventolata la bandiera slovena senza stella rossa.

L’indipendenza della Slovenia nel contesto dei cambiamenti sulla mappa europea e mondiale

Il periodo tra il 1988 e il 1992 non è stato cruciale solo per la Slovenia. I venti del cambiamento stavano soffiando via la nebbia da tutta l’Europa del centro e dall’Est. Da una distanza temporale di un quarto di secolo, comprensibilmente, molte delle cause e delle conseguenze degli eventi di allora sono molto più chiare che all’epoca.  È molto più facile spiegarsi il contesto politico domestico ed estero dei singoli eventi. Soprattutto, oggi tutti possono comprendere il grido di un dissidente polacco che, subito dopo la caduta formale del comunismo in Polonia ha dichiarato che per quanto riguarda il comunismo, per molti aspetti, la cosa peggiore è ciò che viene dopo.

Quella primavera e quell’estate del 1989, gli eventi più cruciali per l’Europa, che annunciavano la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, gli ho seguito dalle prigioni di Dob e di Ig, la vittoria di Solidarność nelle elezioni polacche, anche se limitate dalle autorità, un tumultuoso congresso dei deputati popolari a Mosca, le storiche visite e incontri di Gorbaciov a Bonn, Vaticano, Pechino, Berlino e Malta (incontro con il presidente degli Stati Uniti), l’eliminazione della cortina di ferro al confine tra Ungheria e Austria e le proteste nelle città della Germania dell’Est hanno avuto un grande impatto sugli eventi in RSFJ e, naturalmente, sugli eventi in Slovenia, che allora, come una delle repubbliche socialiste jugoslave, era in una posizione simile alle repubbliche dell’ex URSS. Gli eventi in Europa sono stati in parte oscurati dal massacro di Piazza della Pace Celeste, Tienanmen e dalla morte del leader iraniano Khomeini, ed allo stesso tempo gli eventi turbolenti in tutto il mondo gonfiavano  questo tempo drammatico che stavamo osservando da dietro le sbarre.


Josip Broz Tito, il capo del governo terrorizzante comunista  e l’organizzatore diretto dei massacri di decine di migliaia di persone senza processo dopo la fine della guerra e della rivoluzione in Jugoslavia (nella foto: mentre stringe la mano a Milan Kučan negli anni ’70), è ancora relativamente rispettato e stimato in tutto il SE Europa.

Per noi prigionieri politici, le aspettative che i venti di cambiamento avrebbero spazzato l’Europa dell’Est e quella del Centro erano ancora più intense. Nella primavera del 1988, quando siamo stati arrestati dalla Polizia politica comunista e poi condannati in un processo a porte chiuse, senza diritto ad un avvocato, davanti al tribunale militare di Lubiana, scoppiarono anche proteste di massa in Slovenia e si è formato il Comitato per la difesa dei diritti umani, nel quale, in due mesi, hanno aderito 100.000 membri.


Nella primavera del 1988, quando siamo stati arrestati dalla Polizia politica comunista (nella foto l’arresto di Janez Janša al 31 maggio 1988) e poi condannati in un processo a porte chiuse senza diritto a un avvocato davanti al Tribunale militare di Lubiana, in Slovenia si sono svolte protesti di massa e si è creato il Comitato per la protezione dei diritti umani, che nel giro di due mesi è arrivato ad avere 100.000 membri.

Le autorità comuniste temevano che sarebbero scoppiati disordini, così al processo ci hanno condannati con sentenze relativamente leggere, da uno a quattro anni di prigione. Nonostante le proteste del pubblico, le autorità comuniste slovene hanno deciso di eseguire le condanne, contando sulla speranza che i cambiamenti nell’Europa dell’Est e del Centro non avrebbero avuto un impatto fatale sul cambiamento dei regimi in Jugoslavia e in Unione Sovietica. Hanno contato anche sulla paura dell’Occidente di una disintegrazione selvaggia dell’Unione Sovietica e conseguentemente l’aumento del pericolo dovuto all’indebolimento del controllo delle armi nucleari dell’US, e sui timori di uno scoppio di conflitti etnici nel caso di un’eventuale rottura della RSFJ.

Questa speranza era in gran parte sbagliata. Non solo c’è stato un cambio formale di governo e l’introduzione di un’economia di mercato e di libere elezioni nell’Unione sovietica e nella RSFJ, ma anche la disintegrazione di entrambi gli imperi socialisti. La disintegrazione del Grande Impero Rosso è stata relativamente controllata, mentre il Piccolo Impero Rosso si è disintegrato con fuoco e in tempesta delle pulizie etniche e del conflitto armato in Bosnia ed Erzegovina e in parte in Croazia e più recentemente in Kosovo.

Tuttavia,oggi, a distanza di quasi un quarto di secolo, possiamo constatare che la suddetta speranza dei dirigenti dei regimi comunista di Belgrado e Lubiana non era del tutto priva di fondamento, e vale quindi la pena esaminare più da vicino le basi su cui si fondava. Uno sguardo più attento oggi mostra che c’è una differenza tra Lubiana e Mosca, da un lato, e le capitali di altri paesi ex comunisti in Europa, dall’altro.

In primo luogo, le speranze dei burocrati comunisti di Lubiana e Belgrado erano basate sulla convinzione della loro straordinarietà. La dottrina comunista dell’epoca a Lubiana e Belgrado era dominata dalla tesi che le rivoluzioni comuniste erano autentiche in Unione Sovietica e RSFJ, e che altrove il comunismo era stato portato dai soldati dell’Armata Rossa sulle loro baionette. Nonostante Gorbaciov e la perestroika in Unione Sovietica, i comunisti jugoslavi si aggrapparono fermamente a questa tesi. Essa è stata inclusa nel piano del quartier generale dell’EPJ chiamato Okop (la Trincea), sulla base del quale nel 1991 l’EPJ ha effettuato un intervento armato in Slovenia e poi in Croazia. Questa tesi è stata anche pubblicata molto sinceramente  da uno dei fondatori dell’apparato repressivo comunista jugoslavo dopo la morte del dittatore jugoslavo Josip Broz Tito, il suo ex braccio destro e segretario del Politburo del KPJ (Partito Comunista di Jugoslavia) e segretario degli affari interni, Stane Dolanc. Dolanc, amico personale del principale politico comunista sloveno Milan Kučan, nel 1990, quando Kučan ha lasciato la posizione di presidente del Comitato Centrale del Partito comunista di Slovenia al suo successore e si è candidato alle elezioni per il presidente della Slovenia, ha scritto nel suo opuscolo di propaganda pre-elettorale

“Siamo fortunati – e Milan Kučan è stato in grado, spero almeno, di approfittarne in tempo – che abbiamo avuto una rivoluzione indigena, non portata sulle baionette sovietiche. Ecco perché da noi è completamente diverso che in Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania o Germania dell’Est”. (Stane Dolanc, segretario federale degli interni della RSFJ, nel libro Milan Kučan/ Igor Savič; Lubiana: Emonica, 1990, Emonica Portraits Collection) All’inizio della sua carriera politica, Stane Dolanc fu anche il fondatore e direttore della scuola politica per giornalisti di Lubiana (ora FDV), che è ancora in funzione e che continua ad educare generazioni di giornalisti senza una distanza critica dal comunismo totalitario.

I principali comunisti sloveni ed i generali dell’EPJ erano convinti che il socialismo come regime monopartitico, forse in una forma leggermente modernizzata e sotto il nome di “socialismo democratico”, sarebbe sopravvissuto in Jugoslavia, o almeno in Slovenia e Serbia ed in Unione Sovietica. La loro convinzione si è basata sulla conoscenza delle  purghe minuziose della popolazione dopo la vittoria delle rivoluzioni comuniste in entrambi i paesi. Le purghe che furono eseguite in Slovenia dopo il 1945 per eliminare fisicamente ogni traccia di competizione politica, con omicidi di massa, torture, imprigionamenti ed espulsioni dal paese, furono accurate almeno quanto quelle che ebbero luogo durante il peggiore terrore di Stalin nell’US.

Le conseguenze a lungo termine della guerra fratricida della metà del XX secolo

La fatale spaccatura nella nazione causata dalla guerra fratricida è stata almeno temporaneamente superata al momento dell’indipendenza, grazie alla politica di unificazione di Demos e all’enorme pazienza e spirito costruttivo di persone come il dottor Jože Pučnik. Tuttavia, ciò che mancava alla guarigione permanente riuscita di questa ferita storica era la volontà sincera dei principali comunisti, che, con l’aiuto dell’occupazione straniera, avevano causato questa spaccatura. Il processo di riconciliazione, inizialmente promettente, si è trasformato nel suo opposto ed ha raggiunto la sua fine infame al termine di aprile 2013 a Stožice, dove l’intera leadership statale slovena in piedi nella sala, simbolo del capitalismo grossolano clientelare, ha cantato l’Internazionale comunista.

Dopo i cambiamenti democratici in Slovenia nel 1990, in un’area di più di 20.000 km2, abitata da 2 milioni di persone, sono state scoperte più di 600 fosse comuni, molte delle quali più grandi di quella di Srebrenica. L’ultima grande fossa comune è stata scoperta nel 2008 nella miniera abbandonata di Huda jama, a 40 km da Lubiana. Nei pozzi abbandonati delle miniere giacciono migliaia di cadaveri semidecomposti e scheletri maschili e femminili non seppelliti, prevalemente senza ferite d’arma da fuoco. Nel 1945 i comunisti hanno semplicemente trascinato le loro vittime vive nei pozzi di miniera abbandonati, e poi murato e cementato le entrate. Gli oppositori reali o potenziali del regime comunista che non furono uccisi immediatamente dopo la fine della guerra e la rivoluzione comunista,  fuggirono all’estero o finirono nei campi di concentramento e nelle prigioni comuniste.

Il numero dei prigionieri politici in Slovenia è salito a più migliaia. Durante gli anni del regime comunista, furono organizzati processi inscenati in cui molte persone completamente innocenti furono condannate a morte o a lunghe pene detentive. Poiché le purghe e i massacri erano eseguiti da comunisti locali, di solito nel proprio quartiere, erano più accurati di quelli eseguiti dai soldati sovietici o dal KGB nei paesi del successivo Patto di Varsavia. Allo stesso tempo, molte persone della parte comunista avevano le mani insanguinate. Temendo la rivelazione di crimini e responsabilità, nelle purghe furono coinvolte intere famiglie. Non solo la paura, causata da queste azioni, ma anche la distruzione fisica dell’opposizione politica ha permesso il lungo regno del dittatore Tito e dei suoi successori. Questi successori, quindi, nel 1989 contavano al fatto che qualsiasi base per una forte opposizione era stata distrutta nel corso dei decenni.

Calcolavano che avrebbero potuto mantenere il potere anche in caso di elezioni formalmente libere. Contavano che migliaia dei loro membri con le mani insanguinate avrebbero fatto di tutto per impedire un cambiamento di potere, e di conseguenza una chiarificazione del passato. Lanciarono una grande offensiva propagandistica, sostenendo che tutte le decine di migliaia di persone, comprese le donne e i bambini che furono uccisi, erano collaboratori del nazismo e del fascismo. Anche prima dei cambiamenti formali, hanno iniziato a privatizzare i media nazionali e locali. Hanno mantenuto un’influenza quasi totale su di essi fino ad oggi. Chiunque sollevasse pubblicamente la questione delle purghe comuniste e dei massacri veniva immediatamente bollato in questi media come simpatizzante del collaborazionismo e del nazismo.

Gli eventi introduttivi più fatidici per l’Europa di quella primavera ed estate del 1989, che hanno annunciato la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, gli ho monitorato dalle prigioni di Dob e Ig. La vittoria di Solidarność nelle elezioni libere ma comunque ancora limitate della Polonia, il tumultuoso Congresso dei deputati del popolo a Mosca, le storiche visite gli incontri di Gorbaciov con i rappresentanti occidentali.


La situazione qui descritta spiega, in modo peculiare, la tesi spesso ripetuta negli anni ’90 che “il muro di Berlino è caduto da entrambe le parti”. L’autore di questa tesi è Milan Kučan, ex presidente del Comitato Centrale dell’Unione dei Comunisti di Slovenia e della Repubblica di Slovenia (nella foto durante una conversazione con Sonja Lokar al Congresso dell’Unione dei Comunisti di Jugoslavia a Belgrado nel gennaio 1990).

Tutto ciò solleva la questione se, due decenni e mezzo dopo il processo dei quattro – JBTZ a Lubiana, dopo la caduta del muro di Berlino in Europa, dopo l’integrazione della maggior parte dei paesi ex comunisti dell’Europa orientale e centrale nell’UE e nella NATO, sia finalmente giunto il momento per una valutazione approfondita di questa transizione, per un’analisi comparativa dei processi nei paesi singoli, e per un esame su quali lezioni per il futuro siano imparate dai successi e dai fallimenti di questo viaggio.

Abbiamo forse trascurato qualcosa di fronte ai grandi cambiamenti? Abbiamo esaminato a sufficienza le cause che hanno reso possibile Srebrenica? Ci siamo chiesti, a casa e più ampiamente nell’UE, come sia possibile che Milosević, Mladić ed altri ex leader comunisti jugoslavi senza scrupoli abbiano ordinato la distruzione fisica di migliaia di persone secondo esattamente gli stessi schemi come i loro modelli di ruolo dal 1945? Come è possibile che l’ideologia del crimine e la cultura della morte siano sopravvissute a tal punto da causare ancora una volta la morte di decine di migliaia di persone nel mezzo del continente europeo?

Per tutti noi che viviamo in Slovenia sono chiare le risposte. Josip Broz Tito, il titolare del governo comunista del terrore e l’organizzatore diretto dei massacri di decine di migliaia di persone senza processo dopo la fine della guerra e della rivoluzione in Jugoslavia, è ancora relativamente rispettato e stimato in tutta l’Europa del SE. Anche se i suoi crimini sono ben noti, vengono ancora giustificati. Non è possibile condannare il crimine, ma allo stesso tempo idolatrare i criminali, eppure questo sta accadendo sotto i nostri occhi. A Mosca si trovano di fronte a un problema simile, poiché non è possibile condannare i crimini commessi da Stalin e Lenin, e allo stesso tempo idolatrarli entrambi come grandi leader e rimanere comunque credibili. La denazificazione della Germania ha posto le basi per gli inizi dell’UE. La decomunizzazione dell’Est ci sta ancora aspettando, ed entrambi i centri della cosiddetta autentica rivoluzione comunista sono particolarmente problematici. Le generazioni che vivono oggi in Russia non hanno alcuna conoscenza reale dei tempi prima della rivoluzione comunista, poiché nelle purghe di Lenin e Stalin tutta l’intelligenza non comunista fu fisicamente distrutta o espulsa, e poi nelle purghe fu eliminata gran parte dei comunisti dotti. Lo stesso è successo in Slovenia: a causa delle minuziose purghe comuniste in Slovenia, solo una piccola parte dell’ex intelligenza borghese è sopravvissuta. Per molto tempo dopo la rivoluzione, ai figli di famiglie non comuniste, anche se sopravvissuti alle purghe, non fu permesso di prendere alcuna posizione importante nell’economia nazionalizzata o nelle istituzioni, nonostante il loro intelletto e le apparenti capacità. Per essere impiegati in un lavoro di decente importanza, era richiesta la loro iscrizione al partito comunista o all’unione dei comunisti.

Le conseguenze di una tale situazione in Slovenia sono molto evidenti ancora oggi. Cito qui in seguito alcune delle più importanti.

Nei giorni di primavera del 2009, quando il sito della fossa comune di Huda Jama è stato aperto e le telecamere della TV nazionale hanno mostrato tutto l’orrore delle conseguenze del crimine comunista, il presidente dell’organizzazione dei veterani comunisti, Janez Stanovnik, che è stato a lungo tempo diplomatico nella RSFJ all’ONU, ha dichiarato che i massacri dopo la fine della guerra sono stati eseguiti per ordine del maresciallo Tito. Come risultato di questa dichiarazione, è stata fatta una richiesta di rimozione di tutti, gli ancora numerosi, monumenti e i nomi dell’ex dittatore jugoslavo dalle città e dalle piazze slovene. I partiti dell’attuale coalizione di governo di sinistra si sono fortemente opposti a questa richiesta. L’organizzazione giovanile dei socialdemocratici, del principale partito di governo (successore dell’ex partito comunista) allora guidato dal primo ministro Borut Pahor, ha rilasciato un comunicato stampa sostenendo che il tempo della rivoluzione comunista, in cui sono avvenuti questi crimini di massa, era un tempo di progresso per la Jugoslavia di allora.

Poi l’allora presidente della Repubblica, Danilo Türk, eletto con l’appoggio dei partiti di sinistra post-comunisti, quando gli è stato chiesto alla TV nazionale di commentare la scoperta del sito della fossa comune di Huda Jama con più di migliaia corpi non sepolti, ha detto che si tratta di una questione secondaria che non l’avrebbe commentata.

I partiti di sinistra a Lubiana, la capitale della Slovenia, guidata dal sindaco Zoran Janković, un amico intimo dell’ex presidente dei comunisti sloveni e poi presidente della Repubblica di Slovenia Milan Kučan, con un voto a maggioranza nel Consiglio Comunale hanno deciso di dedicare una delle strade d’entrata a Lubiana all’ex dittatore Tito. Una strada con questo nome che è già esistita a Lubiana fino alle libere elezioni del 1990, dopodichè è stata rinominata. Ma dopo 20 anni i neocomunisti sloveni hanno ottenuto il suo ritorno, e solo una successiva decisione della Corte costituzionale ha cancellato dalla Slovenia questa macchia vergognosa.

Nello stesso momento in cui i post-comunisti di Lubiana decidevano di intitolare una strada all’ex dittatore Tito, il Parlamento europeo ha adottato la Risoluzione sulla Coscienza e il totalitarismo europei, condannando tutti i regimi totalitari, rendendo omaggio alle loro vittime e proponendo che gli Stati membri celebrino il 23 agosto come giorno di commemorazione delle vittime di tutti i totalitarismi in Europa. In Slovenia, la Risoluzione ha incontrato una grande resistenza da parte delle forze post-comuniste al potere. Il governo ha dichiarato che non segnerà il 23 agosto con nulla. Una piccola cerimonia di commemorazione è stata organizzata il 23 agosto 2009 dal Centro per la Riconciliazione Nazionale, che era stato istituito alcuni anni prima, ma nessuno del governo o della coalizione governante d’allora ha partecipato all’evento.

Quest’anno, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione simile a quella del PE. Uno dei promotori dell’adozione di questa risoluzione è stato anche un membro della minoranza italiana nel Parlamento sloveno, Roberto Battelli. L’adozione della risoluzione, votata a favore da una larga maggioranza dei membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio, è stata seguita da alcune proteste non troppo forti da Mosca, che non era d’accordo con l’uguaglianza di trattamento di tutti i totalitarismi, in questo caso il nazismo e il comunismo. A casa, Battelli, membro sloveno dell’Assemblea parlamentare del Consiglio, è stato sottoposto a dure pressioni e attacchi mediatici, e persino a richieste di dimissioni. E il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Slovenia ha rilasciato una dichiarazione ufficiale nella quale si è distanziata dalle sue azioni.


Stane Dolanc all’inizio del 1990 (nella foto nel 1986 al Congresso del Partito Comunista della Slovenia): “Noi abbiamo fortuna – e Milan Kučan ha saputo, almeno spero, approfittarne in tempo – che nel nostro paese c’è stata una rivoluzione autoctona, non portata sulle baionette sovietiche. Ecco perché da noi è completamente diverso che in Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania o Germania dell’Est”.

Quando alla fine del 2008 la coalizione di sinistra post-comunista è salita al potere, il ministro delle Finanze, Franci Križanič del partito socialdemocratico ha assunto come consigliere nel suo gabinetto un ex agente della Polizia segreta comunista (SDV), Drago Isajlović, che ha personalmente arrestato David Tasić e me nel 1988, ed era quindi noto come la personificazione della repressione comunista, che con tutti i mezzi perseguitava i dissidenti. Isajlović non possedeva un’educazione ne un’esperienza adeguata nel campo della finanza, ma il ministro che l’ha assunto ha semplicemente dichiarato che sono amici di vecchia data.

La Slovenia è l’unico Stato membro dell’UE post-comunista in cui, dalla caduta del muro di Berlino e dai cambiamenti democratici dei primi anni ’90, non è stata effettuata nemmeno la forma più blanda di lustrazione e in cui gli archivi dell’ex Polizia politica non sono accessibili al pubblico. I partiti post-comunisti ostinatamente impedivano tutti i tentativi, anche votando  nel 1997 all’unanimità nell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Slovenia contro l’approvazione della risoluzione 1096 del Consiglio d’Europa sullo smantellamento degli ex regimi totalitari comunisti. Così, oggi in Slovenia, ex dipendenti e collaboratori della Polizia segreta comunista, che hanno commesso drastiche violazioni dei diritti umani sotto il precedente regime, occupano ancora alte posizioni nella magistratura, nella procura, nella diplomazia, nell’economia, nell’amministrazione, nelle redazioni dei media e persino nei servizi segreti. L’ultimo presidente del partito comunista dei giorni precedenti le libere elezioni è diventato addirittura un giudice costituzionale, e il suo successore è stato per lungo tempo presidente del consiglio di programmi della TV nazionale, e oggi è presidente del Comitato Olimpico Sloveno.

“Vedo Jože Pučnik che spiega alla dirigenza del Demos, poco prima della prova finale, che siamo obbligati dalla decisione del plebiscito e che dovremo resistere a tutti i costi” (nella foto, la dirigenza del Demos che festeggia il successo del plebiscito sull’indipendenza della Repubblica di Slovenia nella chiesa di San Giacomo sopra Medvode, il 26 dicembre 1990).

È stato solo nel tempo della crisi che l’Europa è cominciata ad interessarsi veramente a quello che stava succedendo in Slovenia

La situazione sopra descritta spiega, a modo suo, la tesi spesso ripetuta negli anni ’90 che “il muro di Berlino è caduto da entrambe le parti”. L’autore di questa tesi, l’ex presidente del Partito Comunista della Slovenia e della Repubblica di Slovenia, Milan Kučan, l’ha usata per giustificare la sua difesa del regime totalitario e la sua opposizione a qualsiasi cambiamento che potrebbe definitivamente smantellare  l’eredità del comunismo in Slovenia, su cui si basa il potere dei post-comunisti. Questi sono i tre pilastri – l’ideologia, la propaganda e il potere finanziario. Paradossalmente, i successori e i difensori del regime comunista sono oggi prevalentemente la classe più ricca della Slovenia. Dopo il suo terzo mandato come presidente della Repubblica di Slovenia, Milan Kučan ha fondato Forum 21, che, con poche eccezioni, ha riunito persone che sono diventate estremamente ricche nell’ultimo decennio e che ora possiedono alcune delle più grandi aziende slovene. Quando alcuni hanno fatto notare la discrepanza tra l’orientamento politico di sinistra di Forum 21 e i suoi membri estremamente ricchi, ed hanno chiesto al presidente Kučan dove fossero rimasti gli operai e i proletari, ha risposto cinicamente: “I proletari sono dove sono sempre stati. Nei loro posti di lavoro”.

La Slovenia, attraverso le azioni dei governi di sinistra e dei monopoli rossi, ha abilmente contrabbandato questa situazione anche nella NATO e nell’UE. Solo in Romania gli osservatori esterni hanno potuto vedere qualcosa di simile. Oggi, quando la Slovenia è quotidianamente criticata dalle istituzioni europee a causa della possibilità di fallimento e della minaccia alla stabilità della moneta comune europea, sempre più attori europei si chiedono cosa sia successo al nostro paese. Cosa c’è di fondamentalmente sbagliato in noi che ci siamo  così persi?

L’Europa può rimanere solo come Europa dei valori. Le istituzioni sono importanti, così come il progresso su tutta la linea. Tuttavia, senza rafforzare la base di valori, la fondazione europea sarà in pericolo molto più che senza un nuovo trattato istituzionale. Questo fatto non deve mai essere perso di vista e, soprattutto prima che i paesi dei Balcani occidentali entrino nell’UE, l’UE deve essere in grado di esigere che i nuovi membri facciano sempre chiarezza sul passato. Sia con i loro nazionalismi estremi che con il loro atteggiamento ambivalente verso il crimine, cioè la loro approvazione dell’uso dei metodi comunisti per distruzione fisica del nemico. I paesi dei Balcani occidentali, che sono in attesa di entrare nell’UE, dovrebbero, oltre alla riconciliazione sulla scia degli scontri pre-Dayton, fare i conti con il passato che ha portato agli scontri e con l’ideologia secondo la quale il fine giustifica i mezzi.

Non basta vedere Milosević e Mladić solamente come nazionalisti estremi. Manca qualcosa che potrebbe spiegare pienamente i crimini incredibilmente brutali in Bosnia-Erzegovina, Croazia e Kosovo. È la fusione evidente del nazionalismo e dell’ideologia comunista. È il prodotto estremo delle accademie comuniste e militari jugoslave, che insegnavano che lo scopo fondamentale della lotta di classe era la distruzione fisica del nemico. Questa fusione produsse il nazionalsocialismo alla fine del XX secolo, in circostanze diverse, ma con le stesse conseguenze criminali della prima metà del secolo precedente. In un momento in cui credevamo che una cosa del genere non fosse più possibile. Questo è probabilmente il motivo per cui la base ideologica dei guai dei Balcani è rimasta un po’ sullo sfondo della ricerca. Ed è anche il perché i potenti resti del comunismo nell’area dell’Europa sud-orientale sono stati molto attenti a non lasciare che l’Occidente non cominciasse a studiare le cause più profonde di Srebrenica, e della tragedia balcanica in generale.

Allo stesso tempo, ciò che stava accadendo nei Balcani occidentali sembrava essere qualcosa di minore, un dramma sul palco laterale, che non avrebbe avuto un impatto decisivo sulla stagione teatrale. La caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda hanno anche segnato l’inizio della globalizzazione, l’ascesa delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e l’estremismo religioso. Quest’ultimo è addirittura un passo avanti alle ideologie distruttive del XX secolo. Per il fascismo, il nazionalsocialismo e il comunismo, la fine giustifica i mezzi ed il crimine è un mezzo legittimo per raggiungerla. Nel caso dell’estremismo religioso, a tutto questo è aggiunta anche una volontà fanatica di sacrificare realmente la propria vita per raggiungere un obiettivo. Questo a prima vista lo fa sembrare più pericoloso, ma in realtà non lo è. Non sembra probabile che sia possibile in questo modo causare così tante vittime e distruzione della civiltà che, per esempio, il comunismo ha inflitto nella Unione Sovietica o nella RSFJ, o il nazionalsocialismo in alcune parti d’Europa. In effetti, l’ideologia comunista utilizzata durante e dopo la rivoluzione comunista in Jugoslavia, o a Srebrenica una decina di anni fa, ha mobilitato gli esecutori dei crimini sulla base della loro convinzione che il male inflitto agli altri avrebbe giovato a loro stessi e alla loro razza direttamente, e immediatamente, non solo nell’altro mondo.

La storia ha dimostrato che è molto più facile conquistare le masse per i benefici diretti che per i sacrifici personali diretti. Questa è l’essenza più profonda del pericolo della rinascita delle ideologie totalitarie, di cui il comunismo nei Balcani ha sempre a disposizione un facile incrocio con il nazionalismo estremo. Così viene alla pulizia etnica e a Srebrenica. Così otteniamo il contenuto del discorso fatto dal segretario generale della Federazione delle associazioni dei combattenti slovena a Tisje, dove ha nuovamente minacciato con le uccisioni di massa.

Il libro I Movimenti ha in qualche misura impedito la falsificazione della storia recente

Il libro I Movimenti, pubblicato nella primavera del 1992, insieme a opere simili di altri attori dell’indipendenza slovena, ha impedito, almeno in parte, la falsificazione della storia recente e la realizzazione finale della tesi di Kučan sulle “diverse verità”. Questa affermazione, a prima vista piuttosto categorica, può essere confermata con relativa facilità.


Dal plebiscito del dicembre 1990, il partito delle forze post-comuniste  costantemente  proponeva  l’indipendenza  come la causa generale di tutti i possibili problemi (nella foto: l’installazione del segno del nuovo stato europeo indipendente della Repubblica di Slovenia alla fine del giugno 1991).

Nel giugno 1992, il libro I Movimenti era già stato pubblicato in una prima tiratura record di 30.000 copie, 17.000 delle quali erano già state vendute in preordine. Successivamente, quasi 40.000 altre copie sono state vendute in ristampe in sloveno, inglese, tedesco e croato. Dopo qualche anno, il libro era completamente esaurito. Il libro ha causato una vera e propria tempesta mediatica e politica. Alcuni l’hanno attaccato ancora prima della sua pubblicazione, poiché il manoscritto è stato rubato dalla tipografia e inviato ai critici di turno.

Da un lato, il libro ha incontrato un inaspettato alto livello di interesse da parte dei lettori e un’approvazione di massa. Ho ricevuto centinaia di lettere di lodi e ringraziamenti. Nei media pubblici, tuttavia, la risposta è stata mista. Quei media che erano ancora o di nuovo completamente controllati dalla sinistra di transizione, pubblicavano le risposte dei politici che si opponevano all’indipendenza, quindi era logico che si opponessero anche alla descrizione dell’indipendenza. Hanno persino trovato i generali sconfitti e gli ufficiali dell’EPJ per chiedergli la loro opinione sul mio libro. Il Dnevnik di Lubiana, il giornale che durante l’aggressione dell’EPJ ha attaccato il governo sloveno, era in testa a questi media. Altri giornali o media, più amanti della verità (ce n’erano, ammettiamolo, di più di oggi) pubblicarono risposte diverse.


Il libro I Movimenti, pubblicato nella primavera del 1992 (nella foto, già la terza edizione, aggiornata), insieme ad opere simili di altri attori dell’indipendenza slovena, ha impedito, almeno in parte, la falsificazione della storia recente e la realizzazione finale della tesi di Kučan sulle “diverse verità”.

I documenti del libro parlavano da soli e non potevano essere così facilmente respinti. Perciò hanno usato il trucco della presunta indecenza, dicendo che tali documenti non dovevano essere pubblicati, che non era bello, ecc. Hanno anche inventato il cosiddetto affare delle intercettazioni, dicendo che il Servizio di Informazioni e Sicurezza dell’epoca aveva intercettato membri della Presidenza della RS, registrando così una conversazione traditrice in cui Ciril Zlobec ha rivelato un segreto di stato sulla data esatta e sulle misure concrete dell’indipendenza. Questo certamente non era la verità, perché tutta la Slovenia sapeva che il VIS stava intercettando l’EPJ e i servizi stranieri, e se Zlobec non li avesse chiamati lui stesso, non sarebbero stati in grado di catturarlo.

Come ai vecchi tempi del partito, il libro I Movimenti è stato discusso nella presidenza della RS, negli organi del successore del PCS, il Partito Socialista, e della LS, il predecessore della LDS. Sono stati emessi dichiarazioni e comunicati stampa nei quali hanno condannato il libro. La caratteristica comune di questi comunicati, tuttavia, era che nessuno di essi conteneva una sola frase del libro che non fosse vera. Solo accuse generali e l’atteggiamento da Calimero da parte di coloro che erano apertamente contro le misure per assicurare l’indipendenza slovena con forza reale e quindi contro la stessa indipendenza slovena, o che non sapevano da che parte mettersi.

L’ipocrisia di alcuni degli attori menzionati nella prima edizione de I Movimenti hanno portato alla pubblicazione della seconda edizione, nella quale sono stati aggiunti alcuni nuovi documenti con prove dirette della loro condotta e una prefazione con spiegazione, seguita poco dopo la prima edizione, dato che le prime 30.000 copie erano già vendute.

Le calamitose reazioni politiche al libro I Movimenti ha rivelato un’altra verità, fino ad allora rigorosamente soppressa e nascosta. L’indipendenza slovena, e soprattutto il suo finale, la guerra per la Slovenia, ha unito gli Sloveni e allo stesso tempo ha creato una grande crepa nel corpo apparentemente molto omogeneo della sinistra post-comunista slovena. Nel prendere le decisioni e le misure necessarie per l’indipendenza, la leadership dei loro partiti in particolare ha esitato e calcolato, e questo l’ho ha nascosto non solo al pubblico, ma anche ai loro membri. In effetti, gran parte dei loro membri ha sostenuto l’indipendenza, molti di loro, grazie alla politica inclusiva di Demos, hanno persino assunto ruoli importanti nelle strutture di difesa. I membri non erano a conoscenza del contenuto dei colloqui segreti con Marković sul rovesciamento del governo Demos, di cui il suo portavoce scrive nelle sue memorie, né delle macchinazioni contro il riconoscimento internazionale della Slovenia, di cui racconta, senza peli sulla lingua Piero Fassino, l’allora segretario internazionale dei socialisti italiani. Anche il tradimento di Ciril Zlobec, implicitamente menzionato nei Movimenti, ha scioccato molti dei loro sostenitori.

La rabbia e lo zolfo mediatico diretto a I Movimenti e al suo autore da parte dei dirigenti della LDS e più tardi della Lista Unita e della Presidenza della Repubblica aveva soprattutto lo scopo di convincere i loro membri e sostenitori che i politici di sinistra di spicco non avevano ostacolato l’indipendenza. Perchè il libro è stato pubblicato nel primo anniversario della proclamazione della statualità slovena, subito dopo l’ammissione della Slovenia all’ONU, in un momento in cui anche ai più grandi jugonostalgici era chiaro  che la Jugoslavia non esiste più e che la Slovenia nonostante tutto è una realtà. E come sempre in questi casi, dopo la battaglia, c’erano tutti i generali e tutti hanno cominciato a sostenere che avevano creduto in questo obiettivo fin dall’inizio.

Con i miei colleghi con cura raccoglievamo le reazioni al libro, ma non è stato possibile leggerle tutte. Solo dopo due decenni ho completamente esaminato il contenuto di cinque registri spessi, contenenti gli originali o le copie di articoli e scritti su I Movimenti. Nonostante l’esame dettagliato di centinaia di scritti, non ho trovato da nessuna parte almeno una seria controversia con controargomentazioni, e neanche una sola tesi o documento del libro è stato dimostrato come falso.

Ma più il libro I Movimenti veniva attaccato, più il libro veniva letto. Ben presto, a causa del suo valore documentario, è diventato una fonte per storici e pubblicisti nazionali e stranieri che scrivevano sulla disintegrazione della Jugoslavia e sull’indipendenza della Slovenia.  Quando il libro è stato ristampato in altre lingue, l’ho presentato anche in diverse capitali europee, eppoi in molti giornali europei sono state pubblicate recensioni sul libro. Recentemente  a Belgrado è stato pubblicato un libro di due storici serbi intitolato: La guerra in Slovenia (I documenti della Presidenza della RSFJ), e anche in questo libro, I Movimenti è citato come una delle fonti importanti.

L’indipendenza e la guerra per la Slovenia ci hanno messo sulla mappa del mondo

I Movimenti affrontano abbastanza estesamente la preparazione e l’attuazione della difesa della Slovenia, anche se l’argomento del libro è molto più ampio. Il libro pubblica anche l’intero piano fondamentale per assicurare l’indipendenza della Slovenia, opera mia, che è stato approvato dalle autorità competenti nel maggio 1991 come le linee guida ufficiali per la preparazione e l’attuazione della difesa, e reso operativo dalla DT e dalla Polizia slovena attraverso una serie di documenti di attuazione. Dopo la guerra, ho tenuto lezioni su questo piano e sulla preparazione della difesa della Slovenia in accademie militari, istituti internazionali e università a Vienna, Washington, Londra, Parigi, Roma, Berlino, Praga, Zagabria e forse altrove, ma dopo la mia rimozione dal ministero della difesa nel marzo 1994, curiosamente, mai in scuole o corsi militari sloveni. Da lì gli inviti non arrivarono mai. Il monopolio rosso era troppo forte.

La notevole impresa della Slovenia, la sua difesa completamente non classica e le sue forze armate improvvisate – prima sotto forma di MSNZ (Struttura di Manovra di Protezione Nazionale), poi sotto forma di DT e Polizia – attirarono l’attenzione di molti esperti e istituti militari e di difesa. “Come ci siete riusciti?” era la domanda più frequente. “Come è stato possibile che poco più di 20.000 membri della DT e della Polizia, armati con armi leggere, abbiano fermato un esercito dieci volte più grande, che aveva solamente nel territorio sloveno o nelle sue immediate vicinanze oltre 500 carri armati e altri veicoli blindati, diverse centinaia di aerei da combattimento ed elicotteri, e tutto il restante equipaggiamento del classico, pesantemente armato esercito?” La maggior parte delle risposte a queste domande e a quelle correlate possono trovarsi nel libro I Movimenti.

Quando nel 2003 il Comitato per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti stava decidendo sul consenso del più grande e principale membro dell’Alleanza Atlantica del Nord all’ingresso della Slovenia in questa alleanza di sicurezza, il presidente del Comitato NATO ha sottolineato come il più grande vantaggio del potenziale nuovo membro il fatto che si tratta di un paese che si era democratizzato, aveva ottenuto l’indipendenza e si era difeso contro una potenza molto più grande da solo, e che questa esperienza farà un prezioso contributo alla sicurezza comune. Dato che nel suo discorso ha menzionato anche il mio nome, i media sloveni di questo non ne hanno riportato quasi niente.


Non basta vedere Slobodan Milošević e Radko Mladić (nella foto con Radovan Karadžić) solo come nazionalisti estremi. Manca qualcosa che potrebbe spiegare pienamente i crimini inconcibilmente brutali in Bosnia-Erzegovina, Croazia e Kosovo. Si tratta di una fusione evidente del nazionalismo e dell’ideologia comunista.

La persistente minimizzazione dell’importanza dell’indipendenza

Questo approccio è sempre stato la regola piuttosto che l’eccezione. Il monopolio della propaganda rossa cerca di offuscare già da prima dell’indipendenza l’essenza degli eventi e il doppio gioco di alcuni attori.

Molti eventi e dichiarazioni sono stati soppressi o distorti. Altri sono stati particolarmente evidenziati. La distorsione della verità faceva parte della vita quotidiana post-indipendenza. Il precetto di base era: Tutto ciò che ha formato il sistema di valori della maggioranza del popolo sloveno durante il periodo dell’indipendenza e della democratizzazione, durante la primavera slovena, deve essere relativizzato e infine nominato con il suo opposto.

Dal plebiscito del dicembre 1990, l’indipendenza è stata costantemente presentata come la causa generale di ogni sorta di problemi. Gli slogan erano ogni anno più diretti e eloquenti, finché nel 2012 abbiamo potuto vedere striscioni alle cosiddette rivolte popolari con gli slogan “Ci hanno rubato per 20 anni”, o “In 20 anni hanno rubato le nostre imprese e il nostro paese”, o “Basta con 20 anni di un’élite politica corrotta”.

È come se  nell’era pre-indipendenza vivessimo in paradiso e come se la Slovenia non avesse un regime totalitario in cui lo stato è stato rubato al popolo il 100%, certamente molto più di oggi, indipendentemente da tutti i problemi attuali.


Dopo cambiamenti democratici in Slovenia nel 1990, in un territorio di poco più di 20.000 km2, abitato da 2 milioni di persone sono state scoperte più di 600 fosse comuni, molte delle quali più grandi di quella di Srebrenica (nella foto gli scheletri delle persone uccise nella grotta Huda jama).

Si cerca di dipingere, dalla famosa lettera scritta da Kučan nella primavera del 1991 in poi, la resistenza al disarmo della Difesa Territoriale e la difesa dello stato sloveno come traffico d’armi, e la creazione degli attributi statali della Slovenia come l’affare Izbrisani (i Cancellati). Per questi due decenni la manipolazione è stata così intensa che le giovani generazioni, cresciute in questo periodo, hanno potuto facilmente apprendere il problema dei cosiddetti cancellati da tutti i possibili media pubblici, al contrario all’apprendimento di tutte le misure che hanno reso possibile la creazione dello stato sloveno. Dieci anni dopo la sua creazione, le prime bandiere con la stella rossa apparvero alle celebrazioni della Giornata Nazionale. All’inizio, timidamente, sapendo che rappresentano il simbolo di un esercito aggressore che era stato sconfitto nella guerra per la Slovenia. Poi sempre più aggressivamente, come se l’EPJ avesse vinto la guerra, e gli accenti più forti degli oratori sono stati messi sulla frase ormai obbligatoria, che senza il cosiddetto Movimento di Liberazione Nazionale (NOB) non ci sarebbe stata una Slovenia indipendente. Come se fosse nata nel 1945 e non nel 1991. Così, l’importanza dell’indipendenza fu cancellata, o almeno diminuita quando i tentativi di cancellarla non ebbero successo. Quando i governi della sinistra di transizione erano al potere, i programmi delle celebrazioni statali in occasione delle due maggiori feste nazionali slovene, il Giorno Nazionale e il Giorno dell’Indipendenza e dell’Unità, erano nel migliore dei casi eventi vuoti, non collegati allo scopo delle feste nazionali, e nel peggiore, pieni di aperta presa in giro della Slovenia e dei valori che ci univano in una comune impresa di indipendenza riuscita.

D’altra parte, quasi nessuna settimana dell’anno è passata senza pompose e costose celebrazioni organizzate dalla Federazione delle Associazioni dei Combattenti per i Valori della Lotta di Liberazione Nazionale della Slovenia  (ZZB), piene di discorsi di odio e minacce verso a coloro che pensano diversamente, piene di simboli totalitari, ed offesi sotto forma di insulti dei simboli ufficiali statali e di trasporto ed esposizione illegale di armi militari. I partecipanti a questi eventi di massa erano per lo più membri pagati dello ZZB, dato che circa 20.000 di loro ancor’oggi ricevono ogni mese indennità privilegiate per i combattenti del MLN , anche se molti nati dopo il 1945. I privilegi che in alcuni casi, come se vivessimo ancora in un principato feudale, si trasmettono ai propri discendenti. Questi baccanali nello stile dei comizi della più intensa campagna di Milošević un quarto di secolo fa sono stati coronati dal comizio della ZZB del 24 dicembre 2012 a Tisje, dove il segretario generale dell’organizzazione dei veterani Mitja Klavora, nato un decennio dopo la seconda guerra mondiale, ci ha nuovamente minacciato con le uccisioni di massa.

Già pochi anni dopo l’indipendenza, è stato necessario restituire le decorazioni onorarie e spiegare che, per legge, il Presidente della Repubblica non ha l’autorizzazione di conferire l’Ordine della Libertà a persone che non avevano nulla a che fare con l’indipendenza o che si erano addirittura attivamente opposte ad essa . Dopo dieci anni, hanno deliberatamente iniziato a creare confusione con i simboli statali. Nel quindicesimo anniversario dell’indipendenza, hanno iniziato una polemica sulla formazione dell’esercito sloveno e sulla sua età, e nel ventesimo anniversario, l’allora presidente della Repubblica ha addirittura tuonato contro i cosiddetti combattenti per l’indipendenza, dicendo che questa “meritocrazia” e questo ingombro transitorio dovevano essere eliminati una volta per tutte. Per fortuna, la maggioranza degli elettori, grazie a Dio, nell’autunno del 2012 l’hanno eliminato loro. Il tocco finale del svergognamento dell’indipendenza e soprattutto dell’esercito sloveno è stato poco prima del 22° anniversario, con la nomina dell’ultimo ministro della difesa. Gli zii dal retro hanno nominato a questa carica un uomo che nel 1991, non solo indirettamente, ma attivamente, attraverso le azioni politiche e con il suo voto, si è opposto a tutte le misure di difesa della Slovenia contro l’aggressione dell’EPJ.

“Non sono un membro della LDS, ma condivido gli stessi pensieri e punti di vista di Roman Jakič”, ha dichiarato il colonnello dell’EPJ Milan Aksentijević nell’assemblea, dopo che nel momento più critico i due insieme ostacolavano i preparativi di difesa.

La resistenza alla falsificazione è  stata forte per tutto il tempo, e I Movimenti ed altre opere letterarie dei partecipanti diretti ne sono stati il suo forte sostegno, ma ogni anno che passava gli attori della falsificazione diventavano più aggressivi, man mano che svaniva la memoria della generazione che l’indipendenza l’ha vissuta direttamente. Chiunque abbia fatto notare le manipolazioni è stato screditato e ridicolizzato dai media. La rete dell’ex SDV (Servizio di Sicurezza dello Stato), con oltre diecimila collaboratori, intrecciata con l’apparato giudiziario e di Polizia, istituzioni parastatali come la Commissione anticorruzione o il Commissario per l’informazione, e agenzie investigative private, è rimasta aggressivamente attiva. Il monopolio mediatico della sinistra di transizione, che ogni anno minimizzava il significato dell’indipendenza e glorificava le conquiste rivoluzionarie della cosiddetta guerra di liberazione nazionale  dal 1992, dopo una breve pausa al momento dell’indipendenza, si stava solamente rafforzando.

Se non fosse per la sopravvivenza di documenti e registri di più di due decenni fa, alcuni storici competenti e gli sforzi dei partecipanti diretti che hanno scritto le loro memorie, oggi la resistenza alla falsificazione sarebbe praticamente impossibile. D’altra parte, più o meno gli stessi attori che volevano impedire in qualsiasi modo che la drastica falsificazione della storia dal 1941 in poi fosse smascherata e che tuonavano quotidianamente in pubblico che non avrebbero permesso la falsificazione (leggi: non avrebbero permesso la verità), hanno invece trasferito i loro metodi di falsificazione dal regime totalitario al periodo post-indipendenza. Difendendo la falsificazione del 1941-1990, hanno applicato lo stesso metodo al periodo successivo al 1990.Si fa il lavaggio del cervello quotidiano attraverso i mass media e le basi di questo lavaggio si trovano in commenti, simposi, libri di testo e programmi,  come in trasmissioni documentarie o quasi documentarie. L’apice di queste attività è certamente il ritratto di Milan Kučan della propagandista Mojca Pašek Šetinc, e non lontano da questo è il documentario sull’affare JBTZ, in cui Ljerka Bizilj “lava” i dirigenti dei nostri arresti del 1988. Tutto questo, naturalmente, pagato con i soldi dei contribuenti.

Sarà interessante osservare le reazioni di questi e altri autori negli anni a venire, quando, nonostante tutto, le attività storiche e giornalistiche riveleranno comunque molti dei fatti, che si è cercato di nascondere con la distruzione degli archivi nel 1989 e 1990 ed di oscurare, o almeno di offuscare con le tecniche di propaganda sopra elencate. Per esempio, l’ultimo libro di Igor Omerza sull’affare JBTZ dimostra in modo inequivocabile che Milan Kučan e Janez Stanovnik hanno mentito sotto giuramento davanti alla Commissione d’inchiesta, quando hanno affermato che non sono stati a conoscenza dell’arresto mio e di Tasić nel maggio e giugno 1988.

I Movimenti è stato il primo libro del suo genere sull’indipendenza slovena; e le appendici

I Movimenti è stato il primo libro di questo genere sull’indipendenza slovena. Altri seguirono presto, descrivendo vari più o meno ampi aspetti  di questo processo storico. L’aspetto della politica estera e la lotta per il riconoscimento internazionale sono stati descritti dal dottor Dimitrij Rupel, il lavoro dei servizi segreti da Andrej Lovšin, e le relazioni nella RSFJ dal dottor Janez Drnovšek. Dopo più di un decennio cominciarono ad uscire le memorie di attori dalla parte opposta,  interessanti letture, confrontando molti documenti.


Quando sulla TV nazionale l’hanno chiesto di commentare la scoperta della fossa comune di Huda jama con migliaia di cadaveri insepolti, l’allora presidente della Repubblica Danilo Türk, eletto con il sostegno dei partiti di sinistra post-comunisti, ha detto che questa era una questione secondaria e che non l’avrebbe commentata.

Per esempio, nelle sue memorie, Borisav Jović, ex membro serbo della presidenza della RSFJ, racconta come nella primavera del 1991 stava persuadendo Kadijević sulla necessità del mio arresto ovvero “rimozione”: interessanti sono anche le sue descrizioni del gioco doppio di Kučan.

Ancora più interessante è il libro del 1988 di Raif Dizdarević, presidente della presidenza della RSFJ, “Dalla morte di Tito alla morte della Jugoslavia”, in cui, tra le altre cose, con documenti e argomenti rivela il doppio gioco in relazione al processo JBTZ di Milan Kučan, Janez Stanovnik e altri politici comunisti sloveni dell’epoca.

I libri dei generali sconfitti dell’EPJ Veljko Kadijević, Branko Mamula e Konrad Kolšek sono più o meno concentrati a giustificare la sconfitta ed a glorificare il loro ruolo in essa. La loro creazione è stata sollecitata in particolare dal lavoro del Tribunale dell’Aia per i crimini di guerra sul territorio dell’ex Jugoslavia, che ha anche raccolto un certo numero di preziose testimonianze tra il suo materiale, disponibile sul sito web del Tribunale.

Le speculazioni sul commercio illegale di armi tra Slovenia e Croazia sono state messe a tacere con libro “Memorie di un soldato” di Martin Špegelj, ministro della difesa croata durante la guerra per la Slovenia, in cui l’autore ha fornito una descrizione dettagliata  dell’aiuto militare che la Slovenia durante e dopo la guerra gratuitamente ha ceduto alla Croazia.


Dopo il suo terzo mandato come presidente della Repubblica di Slovenia, Milan Kučan nel 2004 ha fondato Forum 21, che, con poche eccezioni, ha riunito persone che sono diventate estremamente ricche nell’ultimo decennio e che ora possiedono alcune delle più grandi aziende slovene.

Molti nuovi documenti che descrivono la collaborazione all’inizio della primavera slovena tra la parte slovena dell’Udba (Servizio di sicurezza dello stato jugoslavo) e i principali comunisti per impedire la democratizzazione sono contenuti nelle raccolte di documenti e testimonianze intitolate “7 anni dopo” e “8 anni dopo” (entrambe pubblicate dalla casa editrice Karantanija), e nella pubblicazione “La decorazione simbolica del crimine da parte del presidente” pubblicata dalla casa editrice Nova Obzorja. La stessa casa editrice, con la pubblicazione “L’alto tradimento della Slovenia – Il disarmo delle forze armate slovene nel maggio 1990” e i documenti ivi pubblicati, ha messo finalmente in luce questo atto vergognoso, che avrebbe quasi impedito l’indipendenza della Slovenia e che il dottor Jože Pučnik e Ivan Oman hanno giustamente etichettato come l’alto tradimento della Slovenia.

Varie organizzazioni di veterani hanno raccolto documenti e testimonianze sui preparativi di difesa e sulla guerra per la Slovenia nelle province e comuni singoli. L’impresa più estesa di questo tipo è stata realizzata dalla gente della Primorska di Nord con la collezione “A tutti loro appartiene la gloria”, pubblicata dal Museo di Goriška.

Il lavoro della Polizia slovena, allora ancora una milizia popolare, durante il periodo del MSNZ è descritto nella raccolta “La Rete blu nascosta”, e l’intero periodo e il lavoro del MSNZ nell’opera di Albin Mikulič “I ribelli con la ragione”.

Aspettative realizzate e non realizzate

In I Movimenti ho anche cercato, piuttosto immodestamente, di prevedere il futuro. Alcune delle mie previsioni si sono avverate, altre no. Non mi aspettavo che la Slovenia così rapidamente raggiungesse l’adesione all’UE e alla NATO. Ancora meno che entro 15 anni avremmo adottato la moneta europea. Ad essere onesti, le mie aspettative erano più alte all’epoca quando pensavo alla trasformazione interna della Slovenia in una società aperta, libera e responsabile. Ho creduto che ci saremmo arrivati più facilmente e più velocemente a questo obiettivo. Purtroppo non è stato così. Lo smantellamento del vecchio sistema totalitario è stato lento, ed alcuni dei monopoli, già smantellati al tempo dell’indipendenza,  sono stati presto ristabiliti. Le cause profonde di questa situazione le ho descritte più dettagliatamente all’inizio di questa prefazione ed anche in diverse altre occasioni. In questa prefazione in alcuni punti ripeto o riassumo valutazioni e avvertimenti vari che ho fatto o scritto in diverse occasioni. Alcuni di essi dovranno certamente essere ripetuti anche in futuro, perché, purtroppo, continueranno ad essere rilevanti almeno per qualche tempo.

Nel 1993 la Slovenia è diventata membro del Consiglio d’Europa, e nel 1996 l’Assemblea parlamentare di questa organizzazione ha adottato la famosa risoluzione n. 1096 sullo smantellamento dell’eredità dei regimi totalitari comunisti, in cui ha lanciato per noi avvertimenti drammatici:

“Ci sono molti pericoli in caso di fallimento del processo di transizione. Nel migliore dei casi, l’oligarchia regnerà al posto della democrazia, la corruzione al posto dello stato di diritto e il crimine organizzato al posto dei diritti umani. Nel peggiore dei casi, il risultato potrebbe essere una vellutata restaurazione del regime totalitario, se non il rovesciamento della nascente democrazia”.

Oggi, praticamente tutti concordiamo sul fatto che il processo di transizione da un regime totalitario comunista a una società democratica, aperta e responsabile in Slovenia non è riuscito con successo. Siamo ancora nel mezzo di una specie di mare rosso, in una crisi economica e sociale. Con il pretesto dell’interesse nazionale, è stato mantenuto un monopolio statale, prima attraverso gli aiuti di Stato e il bilancio, e dopo l’adesione all’UE, con l’aiuto di crediti politici e l’assistenza della Banca di Slovenia, ha continuato prosciugando i contribuenti sloveni e mangiando i salari e le pensioni del paese.

Questi flussi di denaro dei contribuenti sono stati utilizzati per finanziare cattive decisioni commerciali, per mantenere il loro monopolio rosso nei media e nel sistema giudiziario e, attraverso tutti e tre, per mantenere il potere politico di maggioranza nel paese, indipendentemente dal governo attuale. Questo l’hanno sempre tenuto  sotto controllo attraverso almeno un partner di coalizione.

Sono stati istituiti dei sostituti delle precedenti commissioni di partito. Così abbiamo ottenuto un commissario per l’informazione, e poi un ufficio per la corruzione, e poi una commissione, ed oltre a questi,  l’ombudsman, l’ufficio per la protezione della concorrenza, l’agenzia per il mercato dei titoli, la Corte dei conti e la Banca di Slovenia hanno tutti, con personale controllato, ripetutamente servito lo stesso scopo. Molte istituzioni statali o parastatali facevano esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere il loro scopo primario.

Il monopolio rosso nei media è diventato così evidente che la povertà, i lavoratori non pagati e persino i bambini affamati scompaiono miracolosamente delle notizie principali  della stampa mainstream non appena viene nominato un governo di sinistra. Non solo, qualche giorno dopo un giornale di Lubiana ha cinicamente scritto che la Slovenia ha il numero più alto di bambini obesi in Europa. I due principali canali televisivi hanno dedicato 20 volte più tempo al sospetto di un certificato controverso di una ex deputata di SDS che al sospetto di plagio di una candidata a primo ministro.

Gli abbondanti privilegi del vecchio vertice monopartitico hanno preso nuove forme solo durante la fallita transizione. Case e appartamenti donati ed espropriati, pensioni eccezionali, pensionamento a 40 anni per gli ex Udba, indennità per i combattenti cominciarono in alcuni casi ad essere trasmessi anche ai discendenti. Così, la conservazione delle conquiste del NOB e della Rivoluzione ha assunto una forma molto concreta di interesse: la conservazione dei privilegi. Privilegi che, in questi tempi di crisi, gravano più che mai sul popolo e causano nuove ingiustizie alle stelle alla popolazione maggioritaria.

I monopoli conservati e rinnovati, la distorsione della verità sull’indipendenza slovena, la crisi sociale ed economica – tutto questo a prima vista è fortemente legato uno all’altro, ma in pratica il legame è inestricabile. Non è quindi sorprendente che l’ex presidente del paese abbia recentemente così apertamente parlato  della necessità di eliminare una volta per tutte la “politica della meritocrazia”. Gli attori che hanno fatto un doppio gioco durante il periodo dell’indipendenza, facilitando il disarmo della TO e inveendo contro il riconoscimento internazionale della Slovenia – e nel periodo post-indipendenza hanno esteso i modelli di comportamento totalitari nella nuova era, in parte anche contrabbandandoli nell’Unione Europea – sono ben consapevoli che il maggiore ostacolo al loro dominio è proprio il sistema di valori, il centro di valori degli sloveni, che si è formato durante il periodo dell’indipendenza. Finché questo esiste, i fantasmi del passato non prevarranno.


L’ inizialmente promettente processo di riconciliazione si è trasformato nel suo opposto e si è concluso ingloriosamente alla fine di aprile 2013, quando a Stožice, simbolo del capitalismo clientelare, l’intera dirigenza statale slovena d’allora cantava in piedi l’Internazionale comunista. Per non parlare della glorificazione dei rivoluzionari comunisti e degli assassini come Che Guevara.


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La sinistra transitoria, che a causa dei suoi privilegi e del peso dei suoi padri ideologici e spesso fisici con sangue fraterno e proprietà rubate, non è in grado di uscire da questi perniciosi confini, può mantenere la sua base ideologica solo per mezzo di una vasta macchina di propaganda, che richiede enormi sforzi ed enormi risorse finanziarie. Ancor’oggi, essa controlla la maggior parte dei media sloveni.

La lezione per il futuro rimane la stessa

La Costituzione slovena contiene il testo del giuramento, che tutti gli alti funzionari dello Stato fanno dopo la loro elezione. Facendo il giuramento, si impegnano a “rispettare la Costituzione, agire secondo la loro coscienza e lottare con tutte le loro forze per il benessere della Slovenia”. Il test per verificare se un atto, un comportamento o un programma di un individuo, di un gruppo, di un partito politico o di un’opposizione politica è veramente in linea con il giuramento costituzionale è semplice.

Quando un individuo, un gruppo, un partito o un’opzione politica mette in risalto ed enfatizza i valori, gli eventi e le conquiste dell’indipendenza slovena, che ci ha messo sulla mappa del mondo e attorno ai quali gli Sloveni si sono uniti ed unificati per di più nella nostra storia, allora agisce in conformità al testo e allo spirito del Giuramento costituzionale.

Tuttavia, quando un individuo, un gruppo, un partito o un’opzione politica porta alla ribalta eventi e tempi che ci hanno diviso e distrutto come nazione, allora sta agendo contro il testo e lo spirito del giuramento costituzionale. E non c’è mai stato un momento più distruttivo per la nazione slovena della rivoluzione comunista fratricida.

Questo fatto ovvio è una verità storica indelebile. La sinistra transitoria, che a causa dei suoi privilegi e del peso dei suoi padri ideologici e spesso fisici con sangue fraterno sulle mani e proprietà rubate, non è in alcun modo in grado di uscire da questi perniciosi confini, può solo mantenere la sua base ideologica per mezzo di una vasta macchina di propaganda, che richiede enormi sforzi ed enormi risorse finanziarie. Poiché questo tipo di ideologia è incapace di creare le condizioni per la creazione di nuovo valore, ha urgente bisogno del potere, del controllo dei bilanci, delle banche statali, delle imprese monopolistiche statali, del credito estero e, attraverso tutti questi strumenti, in fine dei fondi dei contribuenti.

Gestire lo stato in contraddizione con il centro di valori della nazione e dello stato sloveno, o mantenere l’affermazione altrimenti logicamente contraddittoria di Kučan che esistono diverse verità, il che in pratica significa che quella proclamata attraverso altoparlanti più grandi e potenti voci dovrebbe naturalmente prevalere, al giovane stato sloveno è costato finora centinaia di opportunità di sviluppo perse, decine di migliaia di posti di lavoro e opportunità sprecate agli individui di avere successo nella vita. Ha appesantito il presente e molte generazioni a venire con un debito estero che, in questo momento, supera nominalmente l’intero debito dell’ex RSFJ.

Gli altoparlanti, tuttavia, continuano a suonare la melodia devastante, anche se i soldi stanno finalmente finendo e anche se è giunto il momento definitivo di riportare il governo del paese ai valori che lo hanno creato.

Ogni volta che nella storia si verifica un tale momento di estremità, avvengono i cambiamenti. I movimenti.


Primo ministro della Repubblica di Slovenia Janez Janša

Janez Janša: “La Slovenia è la mia patria”

Messaggio del Primo Ministro della Repubblica di Slovenia Janez Janša in occasione della Festa Nazionale, 25 giugno 2020

Nella storia di ogni nazione c’è un momento ben definito che permette a una nazione di diventare sovrana, padrona della propria terra. Tale momento riflette l’atteggiamento positivo della maggior parte dei cittadini o membri della nazione. Tale momento rappresenta il centro dei valori della nazione. Per noi, Sloveni e cittadini della Repubblica di Slovenia, questo è il momento dell’indipendenza.

Quest’anno ricorrono trent’anni dall’incontro della coalizione Demos del 9 e 10 novembre 1990 a Poljče. In quella riunione è stata presa la storica decisione di indire un referendum per una Slovenia indipendente. La decisione di Demos in Poljče è stata corretta, decisiva e determinante. Ma questa decisione non era ovvia. Ci voleva coraggio. È stata presa in un momento in cui un’altra politica avrebbe nicchiato e calcolato e sprecato ancora una volta l’opportunità storica della nazione slovena. E la domanda è quando, se mai, si ripresenterebbe una tale opportunità. Quindi il mio sincero ringraziamento va a tutti coloro che, in quel giorno di novembre, hanno messo da parte tutti i loro dubbi e paure ed hanno deciso ciò che era giusto e più necessario in quel momento. Questa decisione è stata poi seguita da un accordo politico unificatore nel plebiscito per una Slovenia indipendente.

Il giorno del plebiscito, il 23 dicembre 1990,  nella storia della nazione sarà sempre ricordato come un giorno speciale. Con un’affluenza alle urne del 93,2%, il 95% di noi ha votato per una Slovenia indipendente e sovrana. La nazione ha compreso l’unicità di quel momento storico ed ha dimostrato così la sua maturità, la sua saggezza e la sua disponibilità a diventare una nazione libera e sovrana. È stata l’unica volta nella storia in cui ha veramente scritto da solo il proprio destino.

Mezzo anno dopo, il 25 giugno 1991, dopo accesi dibattiti e votazioni sulle leggi sull’indipendenza, le più importanti delle quali furono adottate con pochi voti della minuta maggioranza Demos, il Parlamento sloveno, con la necessaria maggioranza dei due terzi, ha adottato la legge costituzionale per l’attuazione della Carta costituzionale fondamentale sull’indipendenza e la sovranità della Slovenia, con la quale la Slovenia assumeva i poteri della ex federazione sul suo territorio. La Slovenia è diventata uno stato indipendente e sovrano. Non si poteva tornare indietro, e la strada verso una nuova vita è stata subito bloccata dall’aggressione dell’EPJ.

Perciò abbiamo dovuto immediatamente difendere la libertà della nostra nazione, prendendo le armi. Erano le settimane, i giorni e le ore di giugno e luglio 1991, quando tutto era in gioco. Il futuro indipendente ed europeo degli Sloveni, l’ordine democratico, la nostra religione e i nostri leggi, la nostra prosperità e le nostre vite. Erano i giorni in cui – una nazione disarmata nel maggio 1990 – si è alzata ancora una volta per i suoi diritti, ha dichiarato una Slovenia indipendente ed ha vigorosamente resistito all’aggressione dell’EPJ.

In quei giorni, una piccola percentuale dei Sloveni che, con l’appoggio massiccio della nazione, ha imbracciato ogni arma disponibile e, insieme alla protezione civile, si è opposta al quinto esercito tecnicamente più potente d’Europa, ha raggiunto l’impossibile con il suo coraggio ed ha scritto l’atto finale della transizione della nazione slovena in un stato sovrano. Il coraggio degli Sloveni in quel periodo era ammirato da tutto il mondo. I rappresentanti dei paesi più potenti del mondo, che solo pochi giorni prima della guerra affermavano che non ci avrebbero mai riconosciuto, hanno cambiato la loro posizione grazie al nostro coraggio. Nonostante la contrarietà all’indipendenza vera e propria da una parte della politica di sinistra, la nazione era unita. Unita come non mai e molto coraggiosa.

L’unità della nazione, il coraggio delle sue forze armate, la forte volontà politica della coalizione di governo Demos guidata dal dottor Jože Pučnik e l’autoiniziativa di molti comandanti singoli delle unità tattiche della DT e della Polizia hanno forgiato la vittoria nella guerra per la Slovenia. Una vittoria elevata nella sua finalità all’Olimpo sloveno, una vittoria più importante di tutte le battaglie che i nostri antenati, spesso purtroppo a spese altrui, hanno combattuto nei vortici della storia ingrata dei secoli passati.

Ogni giorno la guerra per la Slovenia nella nazione slovena ha rivelato migliaia di eroi. Ragazzi e uomini che hanno superato la paura per amore del paese proprio. Hanno preso le armi per difendere la loro casa, la loro fede e i loro leggi. Per difendere Slovenia. Ed hanno fatto un ottimo lavoro.

Per parafrasare la famosa frase di Winston Churchill dopo la battaglia aerea per l’Inghilterra, mai nella storia della nazione slovena così tante persone hanno dovuto così tanta gratitudine ad una manciata di loro connazionali.

Dopo la vittoria, sono tornati alle loro case. Lo stato può essersi spesso dimenticato di loro, ma la loro patria non lo farà mai. Perchè quello è stato un tempo sacro, il Cantico dei cantici della nazione slovena. Ci siamo sollevati e, grazie al loro coraggio, abbiamo trionfato.

Purtroppo, anche in questa guerra ci sono state delle vittime. Siamo grati a tutti coloro che hanno dato la cosa più preziosa – la loro vita – per realizzare il sogno della nazione. Con la nostra piena gratitudine conserviamo il loro ricordo.

Quando guardiamo indietro al viaggio che abbiamo trascorso, a tutto quello che  come nazione abbiamo raggiunto in tutti questi anni, che è un tempo davvero breve per un paese, possiamo essere orgogliosi. Abbiamo ottenuto molto, ma abbiamo anche perso molte opportunità. Anche perché abbiamo permesso a vecchi rancori, odio, distanza cinica e divisioni di riprendere le loro forze. Perché ciò che c’è di buono in ogni essere umano è rimasto in silenzio quando il male ha ripreso la sua marcia fermando l’entusiasmo creativo.

Tuttavia, le prove con cui la vita ci mette alla prova, ci insegnano di volta in volta che in realtà siamo forti quando siamo connessi e uniti. Che solo nell’unità possiamo avanzare come nazione e società, superando anche le avversità più dure. La nostra ultima esperienza nella lotta contro il nuovo coronavirus lo ha confermato. Nonostante la politica divisa, come durante il nostro percorso verso l’indipendenza, noi, con la nazione unita che ha capito che la nostra salute è insostituibile, indivisibile e ugualmente preziosa a tutti, siamo stati in grado di vincere la prima battaglia contro il virus. Credo che insieme, agendo in modo responsabile, possiamo superare qualsiasi ulteriore scoppio di infezioni. Inoltre, vorrei esprimere le mie sincere condoglianze ed empatia agli amici e alle famiglie di tutti coloro che sono deceduti a causa del nuovo coronavirus.

Mentre in occasione del compleanno della nostra patria sto riflettendo sul viaggio che abbiamo percorso,  vorrei che più spesso ci ricordassimo quale grande onore e privilegio sia il fatto che proprio noi potevamo con la nostra decisione realizzare i sogni, i sacrifici, gli sforzi, il lavoro e le preghiere per un paese indipendente di numerose generazioni di Sloveni e Slovene prima di noi.

Vorrei che lo stato indipendente comprendeste come un grande dono e opportunità per tutti, e che lo prendeste più seriamente come vostro, che ve ne prendeste cura di esso e faceste del vostro meglio per esso. Proprio come ci preoccupiamo e proviamo per qualcuno che lo portiamo nel nostro cuore.

Vorrei che, poiché la nostra decisione comune nel plebiscito si è realizzata in un paese indipendente e sovrano, non dicessimo mai più che non si può fare nulla. Che nulla può essere cambiato. Il potere di una nazione unita è un potere inarrestabile. Se è unito per una nobile causa, sarà aiutato nel cammino verso la sua realizzazione da tutto l’Universo.

Proprio per questo magnifico sviluppo alla fine del 1990 e nella prima metà del 1991, che non ha pari nella nostra storia fino ad ora, vorrei che non ci arrenderemo mai. Che avremmo saputo conservare il nostro legame con quel tempo che, in quell’epoca epocale con la sua intensità ha superato tutti gli ostacoli, ha portato alla nascita del nostro paese sovrano e indipendente. Questo è il centro dei valori della nazione slovena in cui si sono riunite le forze creative, spirituali e materiali della nazione fin dai sui inizi.

Vorrei che da questo centro di valori traessimo le nostre forze e creatività per sempre. Che in esso possiamo trovare riparo nelle tempeste e riposo dopo le prove. Rimanendo un tutt’uno con esso e tra di noi.

Vorrei che nella nostra festa più solenne, le bandiere slovene sventolassero orgogliosamente da ogni casa in omaggio alla nostra amata patria. Che nei prossimi giorni d’estate potremmo scoprire le sue bellezze finora nascoste e rendersi conto di quanto sia incantevole. Nata al suono delle campane, donata da Dio. Creata per noi. Buon compleanno, Slovenia!

Le mie più sincere congratulazioni per la giornata nazionale.


Nella Domenica delle Palme, 8 aprile 1990, in Slovenia si sono svolte le prime elezioni democratiche dopo la seconda guerra mondiale. Il secondo turno delle elezioni si è tenuto il 22 aprile 1990 (nella foto: il presidente di Demos Jože Pučnik al seggio elettorale).

Il primo governo sloveno democraticamente eletto dopo la seconda guerra mondiale è stato confermato dall’Assemblea slovena il 16 maggio 1990. L’obiettivo principale del governo Demos era l’indipendenza della Repubblica di Slovenia.


La decisione di tenere un plebiscito sull’indipendenza e la sovranità della Repubblica di Slovenia è stata presa nella riunione dei deputati di Demos a Poljče il 9 novembre 1990, sotto la guida del dottor Jože Pučnik. La data del plebiscito è stata fissata per il 23 dicembre 1990.


Il giorno del plebiscito del 23 dicembre 1990, 1.289.369 ovvero l’88,5% dei votanti aventi diritto al voto hanno cerchiato la parola SÌ sulla scheda elettorale, il che significa che erano a favore di una Repubblica indipendente di Slovenia (nella foto il presidente del governo indipendente Demos, Lojze Peterle).

Il 25 giugno 1991, l’Assemblea della Repubblica di Slovenia, in una sessione solenne, ha adottato i documenti di indipendenza, sulla base dei quali le autorità repubbliche slovene hanno iniziato ad assumere le funzioni dell’ex Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia.

La solenne dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Slovenia ha avuto luogo il 25 giugno 1991 in Piazza della Repubblica. La Slovenia è diventata uno stato indipendente e sovrano. Non si poteva tornare indietro, ma il cammino verso una nuova vita è stato subito bloccato dall’aggressione dell’EPJ.


L’aggressione contro Slovenia è stata lanciata dalle unità e i comandi dell’EPJ il 26-27 giugno 1991 (nella foto le truppe dell’EPJ che penetrano nel valico di frontiera con l’Italia il 27 giugno 1991), ma hanno subito incontrato una forte resistenza delle forze armate slovene, che difendevano la loro patria attaccata – la Repubblica di Slovenia.


Ogni giorno la guerra per la Slovenia nella nazione slovena ha rivelato migliaia di eroi. Ragazzi e uomini che hanno superato la paura per amore del loro paese. Hanno preso le armi per difendere la loro casa, la loro fede e le loro leggi. La Slovenia. Hanno fatto un ottimo lavoro (nella foto, un membro della Difesa Territoriale della Repubblica di Slovenia su un carro armato  sequestrato dall’EPJ).

Mi piacerebbe vedere le bandiere slovene sventolare orgogliosamente da tutte le case in omaggio alla nostra cara patria in occasione della nostra festa più grande. Che nei prossimi giorni d’estate potremmo scoprire la sua bellezza finora nascosta e rendersi conto quanto sia incantevole. Nata al suono delle campane, regalata da Dio. Creata per noi. Buon compleanno, Slovenia!

Fonte: gov.si


ABBREVIAZIONI:

CK ZKS Centralni komite Zveze komunistov Slovenije Il Comitato centrale dell’Unione dei comunisti di Slovenia
DEMOS Demokratična opozicija Slovenije L’Opposizione democratica di Slovenia
DZ-RS Državni zbor L’Assemblea nazionale
JBTZ afera JBTZ (proces proti četverici: Janša, Borštner, Tasić, Zavrl) L’Affare JBTZ (processo contri i quattro: Janša, Borštner, Tasić, Zavrl)
JNA = JLA Jugoslovenska narodna armija (serb.-croat.) = Jugoslovanska ljudska armada (slov.) L’Esercito popolare jugoslavo (EPJ)
KPJ Komunistična partija Jugoslavije Il partito comunista di Jugoslavia
LDS Liberalna demokracija Slovenije​ La Democrazia liberale di Slovenia
LS Liberalna stranka Il partito liberale
MSNZ Manevrska struktura nacionalne zaščite La struttura di manovra della protezione nazionale
NOB Narodno oslobodilačka borba La Lotta di Liberazione Nazionale
RŠTO Republiški štab za teritorialno obrambo Il Comando repubblico della Difesa Territoriale
SD Socialni demokrati I Democratici sociali
SDV = SDB Služba državne varnosti (slov.) = Služba državne bezbednosti (serb.-croat.) Il Servizio della sicurezza di stato
SFRJ Socialistična federativna republika Jugoslavija La Repubblica socialista federativa di Jugoslavia (RSFJ)
TO Teritorialna obramba La Difesa Territoriale
RS Republika Slovenija La Repubblica di Slovenia
UDBA Uprava državne varnosti (slov.) = Uprava državne bezbednosti (serb-croat.) La Direzione della Sicurezza di stato
VIS Varnostno-informativna služba Il Servizio della sicurezza ed informazione
ZKS Zveza komunistov Slovenije La Lega dei comunisti di Slovenia
ZKS-SDP La Lega dei comunisti di Slovenia – Il partito socialdemocratico
ZZB Slovenije Zveza združenj borcev za vrednote NOB Slovenije L’Associazione delle Associazioni dei Combattenti per i Valori della Lotta di Liberazione Nazionale della Slovenia
( ) “Izbrisani” “I Cancellati”
( ) tranzicijska levica La sinistra transitoria

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